Betty Robinson, una ragazzina, che a 16 anni, divenne la prima velocista premiata alle Olimpiadi. E una storia meravigliosa di sport e rinascita.

E’ leggendaria la resistenza che oppose un ormai vecchio e malandato De Coubertin alla partecipazione delle donne a sport “puri” come l’atletica. Nella sua controversa visione di integrità, il Conte riteneva le donne una contaminazione dei giochi e della umanità armonica che dovevano incarnare.

Le donne? Per lui una pietosa curiosità, poco a vedere con lo sport, e quindi con Olympia.

Ad Atene, prima edizione, ufficialmente esse non c’erano. Per rispettare la tradizione classica, si disse. In realtà una greca vi partecipò, travestita da uomo, scrivendo una delle tante storie epiche delle prime maratone.

Il miracolo di far considerare le donne atlete di pari rango degli uomini, fu compiuto un ventennio dopo, proprio da una donna, a Berlino 1936, le olimpiadi segnate dal nazismo.

Fu Leni Riefenstahl, nel magnifico manifesto Olympia, a filmare la donna come atleta al pari dei maschi, e da quel momento, da quelle immagini, la partecipazione femminile non fu solo coreografia.

In precedenza però, una pietra miliare nel cammino di progresso, una delle tante storie meravigliose di donne alle Olimpiadi, era stata la medaglia d’oro assegnata ad Amsterdam 1928 nei 100 metri alla sedicenne americana Betty Robinson, vista ad inseguire straordinariamente un treno in corsa e in pochi mesi portata dal suo allenatore insegnante al record mondiale. Pochi mesi dopo, venne l’oro olimpico, e la fama in Patria. Onori e gloria, spot pubblicitari e ritratti, in una America che era ormai aveva lanciato una riqualificazione della figura femminile (vista anche che quasi sempre era la donna che faceva la spesa, e quindi meritava un suo mercato).

La storia avventurosa di Betty Robinson non finì però in Olanda.

Tre anni dopo, cadde con l’aereo biposto del cugino, e fu data per morta.

Finì in obitorio, ma lì fu riconosciuta solo in coma.

Fu trasportata in ospedale, dove fu data prima per spacciata. Poi ritenuta invalida permanente. Ma si riprese.

Il miracolo vero doveva però ancora venire, e fu sportivo. Nell’incidente, Betty si era rotta la gamba e le articolazioni del ginocchio. Un dramma irrisolvibile vista la medicina dell’epoca. Ma Betty voleva correre. Non poteva piegarsi per la partenza, ma una chance le rimaneva: la staffetta, dove poteva prendere il cambio in piedi.

E nel 1936, a Berlino, Betty vinse l’oro nella staffetta, approfittando dell’errore al cambio delle favorite tedesche. Probabilmente il suo fu il primo oro paralimpico, ma ancora non lo si sapeva…

Un’altra imperfetta, dopo Jessie Owens, che batteva atleti della pura razza ariana.

Uno spot per gli Stati Uniti, e un annuncio di futuro. Quel sogno americano, mite ma inesorabile, che sarà capace in meno di un decennio, di cancellare il sanguinario furore nazista.

 

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