Benvenuti all’interno di una nuova rubrica. Benvenuti, dunque, in questo nuovo viaggio attraverso un mondo nel quale vale assolutamente la pena addentrarsi.
Di cosa stiamo parlando? Di arte.
Quell’universo magico e affascinante, tanto ricco di tinte, di sfumature, di precisione e di ispirazione, quanto di significati celati tra le trame della rappresentazione, che sono un vero e proprio balsamo per i nostri occhi e per la nostra anima.
Il primo protagonista di questa nuova rubrica è uno dei dipinti più noti, apprezzati e incredibilmente meravigliosi dell’intero patrimonio artistico dell’umanità.
LA PRIMAVERA di BOTTICELLI ~ 1478-1482, Galleria degli Uffizi, Firenze ~

Un capolavoro che, in questo momento più che mai, è in grado di risollevare la nostra psiche.
Sì perché, oggi come oggi siamo ben lontani dallo sbocciare della primavera, nell’aria e nei prati, sulla terra così come, purtroppo, nei nostri cuori. Viviamo un momento anacronisticamente lontanissimo dallo sbocciare prorompente e trionfale della primavera. Non solo l’inverno è ora più che mai alle porte, ma la sua gelida brezza pungente, quasi paralizzante, è vivissima nei nostri cuori. Cuori colmi di paura, che rincorrono disperatamente lo sbocciare lieto e rasserenante, traboccante di vita, della primavera.
E allora, quale opera migliore di questa per cominciare a immergerci nel mondo dell’arte?
La Primavera di Botticelli è un vero e proprio inno alla ri-nascita. Un’ode a quella natura spettacolare e sempre sorprendente, che è perennemente in grado di rigenerarsi, di ricominciare, di ritornare con forza e con entusiasmo prendendo il posto del gelido inverno. Quella stagione che celebra lo sbocciare dei fiori, delle piante e della natura. Della vita.
In uno dei più spettacolari capolavori del mondo dell’arte, possiamo immergerci sentendo quasi fisicamente la brezza di quel vento nuovo che soffia da ponente e che si insinua tra le trame del quadro tanto quanto in quelle della vita. Quel vento calmo, piacevole, che accarezza la nostra pelle e che, soffiando sulla terra, la risveglia.
Possiamo avvertirlo tra le dita, il soffio prorompente e vivace, morbido eppure così fermamente determinato di Zefiro, le guance rigonfie per lo sforzo di portare vita.

E percepiamo anche, avvolgente e salda, la stretta di Zefiro sui fianchi morbidi della ninfa Clori. Zefiro è un vento lieto ma dal quale non si può fuggire, per questo la ninfa Clori non può liberarsi dalla sua stretta folle d’amore. Un amore talmente passionale e vivo, che induce Zefiro al rapimento. Azione che lacera la tela, tanto è stata rappresentata vividamente dalle pennellate del Botticelli, e dalla quale avviene l’unione tra Zefiro e Clori, un’unione che porta alla trasformazione. Alla nascita. Alla ri-nascita della primavera.

E così infatti nasce Flora, o meglio, Clori rinasce come Flora, la Primavera, colei che dissemina vita e colore, gioia per gli occhi.

È una trasformazione, quella della ninfa Clori nell’eterea e splendida Flora, che Botticelli vuole assolutamente farci comprendere. E lo fa, guidando il nostro sguardo, accompagnando la nostra comprensione, lungo quella delicata infiorescenza che esce dalla bocca della ninfa e che prosegue lungo il braccio armonioso di Flora, per terminare nella mano dolcemente ripiegata sul ventre, colma di fiori. Fiori che lei, la Primavera, sparge deliziata al suolo. E da questa pioggia di vita, ecco sbocciare il tappeto floreale, Iris, Fiordalisi, Papaveri, Viole, Margherite e Gelsomini, sul quale tutti i personaggi della creazione di Botticelli poggiano i piedi.


Il maestro Botticelli ci regala un’interpretazione senza eguali dello sbocciare di quella stagione da cui il suo dipinto prende il nome. La rappresentazione perfetta, quasi onirica, di quell’amore impetuoso e feroce, impulsivo e colmo di desiderio, che termina in qualcosa di meraviglioso: la nascita della vita.
Un’evoluzione che avviene sotto lo sguardo imperscrutabile ma attento, beato e regale, di Venere. Dea della bellezza e dell’amore che, sotto il bellissimo groviglio di rami in fiore dai quali spuntano frutti gonfi e maturi, perfettamente incorniciata dalla natura viva e rigogliosa, osserva e vigila sulla nascita della vita, sullo sbocciare della Primavera.
Come se Botticelli volesse comunicarci, attraverso le sue immagini perfette e di una meraviglia accecante, che l’amore e la bellezza, intesa come aspirazione al divino, sono all’origine di tutte le cose. Lo spirito vitale di ogni cosa su questa terra.
Quell’amore che nasce così, all’improvviso e inaspettato, scoccato dalla freccia di Cupido. Il Dio bendato, proprio come cieco è l’amore che germoglia senza pianificazione alcuna, che qui volteggia sopra il capo della madre Venere, intento a scoccare la sua freccia in direzione di una delle tre Grazie.

Le tre Grazie, fedeli compagne della Dea dell’amore, qui impegnate in una danza melodiosa e armoniosa, a suggellare il magico momento dello sbocciare della Primavera. Le mani intrecciate a disegnare movimenti circolari (loro stesse stanno danzando in cerchio) dall’alto, fermandosi all’altezza dei fianchi, al basso. Le tre Grazie dipingono e rappresentano quell’incessante e interminabile ciclo delle stagioni, che non è altro che la melodia danzante che fa da sfondo alla nostra vita.
Quella melodia sulla quale anche noi, ogni giorno, cerchiamo di danzare. Muovendoci a tempo e rispettandone il ritmo. Mentre cerchiamo disperatamente, in tutti i modi, di scacciare le nuvole grigie e minacciose che incombono sul nostro cielo. E vorremmo essere potenti come il Mercurio di Botticelli, rappresentato con i classici calzari alati che lo contraddistinguono mentre, stringendo in una mano il suo caduceo, allontana le nubi e porta il sereno nel cielo terso dello sbocciare della Primavera.

Francesca Motta