Gabriele Salvatores. Ovvero l’anima creativa di una generazione.
La scintilla del regista milanese è ben espressa nella frase di qualche giorno fa, alla presentazione del Milano Film Festival, che dirigerà: “La città ci permette di sognare, uniamo le forze.”
Ecco, il sogno di quelle parole, quello di una Milano metropoli del mondo che riscrive il valore del cinema italiano al mondo ma anche ai suoi abitanti, a partire dai giovani, in qualche modo si riverbera nei sogni della generazione uscita dal decennio delle ideologie che grazie a Salvatores diventò cinema d’autore.
La dinamica alla base del regista è sempre quella: un sogno, un gruppo di amici che lo condivide e la costruzione di un’arte attorno ad esso.
E’ così. Alla base dell’arte di Gabriele Salvatores c’è sempre un gruppo e una misura del presente, cioè “la realtà di una generazione, di una città, di un determinato momento storico” come si scrisse dell’Elfo, il teatro che Salvatores e il primo gruppo di sodali fondò (Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Cristina Crippa, Corinna Agustoni, Luca Toracca e altri).
Una dinamica che poi, a fine anni ottanta, sfociò nel cinema con gli stessi impulsi e sentimenti.
Vennero i film della fuga. Pellicole capaci di coinvolgere più generazioni, in pratica tutte quelle nate nel boom, che si ritrovarono davanti alle domande dei decenni precedenti ma senza le risposte delle ideologie.
Salvatores, ebbe la magia di fornire le risposte nelle non risposte. In un pozzo (Marrakesh Express) da scavare anche senza il senso di farlo, solo per il fatto di essere arrivati, insieme, lì. Anche la guerra di Salvatores non ebbe risposte ne’ durezza ideologica (Mediterraneo). E in questo incrocio di toni sposò ancora una volta l’italianità cinematografica con la sensibilità di Hollywood, e capitò un Oscar.
Gabriele Salvatores nasce a Napoli, un’anima culturale che si terrà stretta, nonostante la visione diventi da subito milanese. Gli anni settanta e ottanta per lui sono il Teatro del’Elfo, gli anni fine ottanta e novanta il cinema. Prima pellicole della fuga. Poi, con le tecnologie che avanzano, la ricerca e ancora la sperimentazione nei soggetti e un modo diverso, milanese, di fare immagini. In un andare che ad ogni svolta del cinema italiano, ti volti e ti accorgi che Gabriele Salvatores c’è già passato.
Innovazione? Forse l’etichetta giusta è Milano.