MONZA – Stefania Castiglione, la ricordate? Molti hanno già avuto modo di partecipare alle sue iniziative culturali. Altri hanno avuto modo di conoscerla attraverso un articolo che le avevamo dedicato. Ora la simpatica guida napoletana entra nella squadra di QuiBrianzaNews.com portandoci per mano alla scoperta della città. Non solo svelandoci i segreti dei monumenti che tutti conoscono, ma anche offrendoci la possibilità di approfondire la conoscenza di tutto ciò che abbiamo ogni giorno sotto lo sguardo e che, tuttavia, forse neanche notiamo.
La “finestra su Monza” si apre raccontando la storia della fontana delle rane in piazza Roma. Quante volte ci passiamo accanto di fretta portando i nostri figli a scuola mentre trasciniamo borse pesanti della spesa o semplicemente fumando una sigaretta! Quella fontana è li dal 1936 e ci racconta silenziosa due storie che si intrecciano tra di loro, ovvero
quella di Teodorico, il re dei Goti, e Amira, la principessa delle rane.
La storia vuole che Teodorico avesse il suo palazzo in città nei dintorni dell’attuale Piazza Trento, ovvero in via Cortelonga. Qui viveva anche il suo giovane nipote Dagoberto, solito a passeggiare in zona con il suo cavallo e fermarsi alla Roggia Pelucca per farlo abbeverare.
Un giorno una rana di colore verde smeraldo, per niente impaurita da loro, si avvicinò e saltò sulla mano del cavaliere. Lo guardò negli occhi e poi si gettò in acqua. Anche nei giorni successivi la rana fu sempre li nella roggia finché in una notte di plenilunio qualcosa di nuovo avvenne.
Dagoberto fu richiamato dal frastuono delle rane e si precipitò alla finestra. Quel che vide lo fece rimanere estasiato. Quella rana con cui lui giocava si trasformò lentamente in una splendida dama dai capelli corti a paggio che si voltò a salutarlo e fugacemente su un raggio di luna scomparve.
Da quella sera, ogni sera, lui la cercò invano tra le rane, tra le nuvole e il cielo, che mai sembrò così vuoto ma niente, sia la rana che la giovane erano scomparse. Così arrivò l’estate e con lei la siccità.
Dagoberto trovò la ranocchia sul letto del canale senza forze e la avvolse in una foglia. Impetuoso arrivò un temporale a riportare acqua nella roggia, cosi il giovane corse a salvare il piccolo animale pensando di averlo così ucciso ma un raggio di luna sembrò quasi indicargli il posto dove di lì a poco il corpo sinuoso e nudo della donna ricomparve più splendido che mai.
Lei si avvicinò a Dagoberto lentamente e lo baciò ringraziandolo per averla salvata e si presentò: “Io sono Amira, la principessa delle rane e ora devo ritornare nel mio regno”.
Quel bacio si impresse nel cuore, sulle labbra e nella mente del giovane cavaliere che però non la rivide mai più anche se ogni notte la cercò invano finché si arrese al ricordo di lei.
Questa storia ci insegna due cose. La prima è che in via Cortelonga vi era il palazzo del re dei Goti, Teodorico. La seconda è che la statua, opera dello scultore friulano Eugenio Mistruzzi, rischiò di essere rifiutata.
Fece scandalo, infatti, a causa delle nudità del soggetto, scordando che già gli antichi, in particolare greci e romani, usavano “abbellire “non solo le loro case ma anche le loro città con statue senza veli, sia al maschile che al femminile, esaltando così il gusto del bello. Tra le statue più riprodotte, infatti, vi era la “Venere Callipigia”, ovvero la Venere dalle belle natiche.
Stefania Castiglione
(con la collaborazione di un monzese doc)
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Quella che leggo è disinformazione allo stato puro. La fontana NON si trova in piazza Roma dal 1936: vi fu tradotta alcuni anni prima, in occasione della visita mussoliniana a Monza, dal cortile d’onore della Villa Reale, dov’era stata installata nel 1923 (Prima Biennale monzese).
La storia di Dagoberto è una favoletta creatasi a posteriori: l’intero monumento (fontana del D’Aronco + statua del Mistruzzi + mosaici della Scuola Mosaicisti del Friuli) è di marca friulana; nulla di più falso che gli autori desiderassero richiamare la pseudo-leggenda in questione.
Altra assurdità: la scultura non corse il pericolo del gran rifiuto.