Le risate che scelgo di ascoltare

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Le risate che scelgo di ascoltare

Restano chiusi i portoni delle scuole.

Per un’altra settimana i cancelli degli asili appariranno grigi e tristi senza i visini paffutelli e allegri dei bambini a dare loro colore.

Persino i banchi vuoti che ci fanno vedere al telegiornale, quelli ai quali i ragazzi si aggrappano nella speranza di trovare un nascondiglio dalle interrogazioni, sembrano sentire disperatamente la mancanza degli studenti che li rendono vivi ogni giorno. Con le loro gioie, le loro sconfitte, i loro timori e i loro successi.

Tutte queste porte chiuse, questi cancelli serrati, e persino quei banchi lasciati soli, ci mettono addosso una sensazione che non ci appartiene. E che non vogliamo fare nostra.

Ma poi apro la finestra e li vedo.

Riesco finalmente a dare un volto e dei colori ben precisi a quelle voci che scacciano via questa malinconia.

Nei giardinetti pubblici sotto casa, una vera e propria squadra di calcio di ragazzini accaldati ed esaltati, illumina improvvisamente la giornata.

Corrono da una parte all’altra del campo, si tirano il pallone con fervore e impegno e urlano. Urlano sempre. Di esultanza, quando qualcuno di loro riesce a segnare un gol. Quando litigano per fare valere le loro opinioni su un fallo che il compagno dell’altra squadra continua a negare. Quando la palla scavalca la rete e finisce in mezzo alla strada. Quando un nuovo membro del gruppo li raggiunge per unirsi al gioco.

Le risate che scelgo di ascoltare

Urlano dalle risate questi giovani ragazzi che hanno scelto di vivere comunque. Di andare avanti ugualmente. Di giocare insieme all’aria aperta, sotto il sole tiepido delle ultime settimane d’inverno, o sotto la pioggia, non fa differenza. L’importante è ritrovarsi insieme e giocare, urlare, ridere e vivere.

Le scuole restano chiuse, il nostro mondo è stato messo sottosopra, e io scelgo di lasciare aperta ancora un po’ la finestra. Per rimuovere, anche solo per pochi minuti, le immagini tristi della TV e sostituirle con questa visuale.

Scelgo le guance rosse di questi ragazzi che corrono dietro a un pallone in un piccolo parco giochi di un piccolo paese della Brianza. E per un attimo vedo in loro la raffigurazione della speranza. L’immagine del futuro.

Li osservo con un sorriso sul viso, mentre si scambiano pacche amichevoli e di incoraggiamento. Li seguo con lo sguardo mentre vanno a bere dalla fontanella per ricaricarsi, e mi sento più fiduciosa.

Si potrebbe pensare forse all’incoscienza della loro giovane età. Ma io non ci credo. Credo, invece, che questi ragazzi abbiano capito più di tutti come funziona la vita, soprattutto in questo delicato momento.

Credo che la loro, al contrario, sia una totale consapevolezza.
Sanno di non poter controllare qualcosa di così piccolo e microscopico come un virus, capace però di creare il caos nel nostro corpo. E allora scelgono di calciare un pallone, tutti insieme, di calciarlo e ricalciarlo, finché non vinceranno la partita.

E io scelgo di ascoltare le loro risate, le loro urla di eccitazione.
Scelgo di calciare quel pallone insieme a loro.

Francesca Motta

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