‘Ndrangheta: 27 persone fermate dalla Dia, 2 vivono nel vimercatese

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VIMERCATE – Ancora una volta la Brianza viene associata alla ‘ndrangheta: nella giornata di ieri, lunedì 19 febbraio, gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria, unitamente a quelli del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia – nell’ambito dell’operazione denominata “Martingala”.

Il decreto di fermo ha colpito 27 persone, ritenute responsabili a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro. Due di queste vivono nel vimercatese.

Più nel dettaglio, le indagini condotte dalla D.I.A. di Reggio Calabria, sotto la direzione dei Sostituti Procuratori della DDA Stefano Musolino e Francesco Tedesco ed il coordinamento del Procuratore Aggiunto Giuseppe Lombardo e del Procuratore Vicario, Gaetano Calogero Paci, hanno consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco (RC) e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero.

Gli elementi di vertice dell’organizzazione sono stati identificati in Antonio Scimone – principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali – nonché in Antonio Barbaro (cosca Barbaro “I Nigri”), Bruno Nirta (cosca Nirta “Scalzone”) ed il figlio di quest’ultimo Giuseppe Nirta.

L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie.

Le società avevano sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria, Romania) e dopo non più di un paio di anni di “attività”, venivano sistematicamente trasferite nel Regno Unito e cessate. Tutto ciò era ovviamente funzionale ad evitare accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità.

Le fittizie operazioni hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi.

Questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale. Gran parte di questi clienti erano imprenditori espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei “tre mandamenti”.

Le approfondite indagini finanziarie portate a termine dagli uomini della DIA hanno consentito di accertare che, attraverso questo collaudato meccanismo fondato sulle operazioni fittizie, Scimone ed i suoi sodali riuscivano a far transitare dai conti delle società cartiere flussi finanziari per diverse centinaia di migliaia di euro al mese. Questo vorticoso giro di denaro aveva termine direttamente in Italia mediante bonifici a società di comodo, oppure sui conti di società estere. Da detti conti il denaro veniva successivamente prelevato e riportato in contanti in Italia.

Oltre ai soggetti fermati, a conclusione della lunga e laboriosa attività d’indagine, sono state denunciate, a vario titolo, 46 persone. In considerazione della tipologia dei reati contestati, che consentono, in massima parte, la confisca, è stato richiesto ed ottenuto il sequestro preventivo di 51 società con sede in varie regioni d’Italia ed anche all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa 100 milioni di euro.

 

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