Oriana Fallaci.
Visse. Pensò. Scrisse. Fece. Tag che funzionano alla grande, per una donna ormai mito, erede femminile della acida e piena toscanità di Malaparte “sono fiorentina, fiorentino parlo, fiorentino penso”.
Oriana Fallaci respirò intensamente ogni epoca che attraversò. Fu, in un certo senso, il simbolo intellettuale femminile dei tempi che attraversò.
Figlia di un antifascista, fu giovanissima staffetta partigiana, con l’imprinting del rischio e dell’avventura.
Dopo aver iniziato medicina, si trasferì a lettere, naturalmente trovando la via giusta nello sfogo di fare che si trovava addosso, con il giornalismo “da quando avevo cinque anni non ho pensato di fare altro che la giornalista” che abbracciò ancor più dopo aver conosciuto Curzio Malaparte, che sempre considerò il suo maestro.
Nel 1951 cominciò a collaborare con l’Europeo, che fu il suo campo di battaglia fino al 1977.
Nel 1956 ha il primo incontro con l’America, il Paese contraddittorio e tormentato che stava assumendo comunque la figura di leader culturale e di costume dell’occidente. Proprio lo stile del reporter U.s.a. fu quello che Oriana Fallaci importò in Italia, una modernità femminile che travolse il modo di fare scrittura come repertorio.
L’america e l’oriente fu una condizione femminile che riportò in Penelope va alla guerra. Poi il Vietnam, inviata alla maniera americana, in prima linea, a descrivere qualcosa in cui non ci sono eroi, ne’ da una parte ne’ dall’altra, solo tutti vittime e tutti carnefici.
Intervistò tutti i grandi della terra, e riportò la sua vita personale in “lettera ad un bambino mai nato” e un’uomo, dedicato al suo rapporto con Panagulis.
Volò alta, precisa, in un giornalismo che non era riproduzione ma interpretazione, in descrizioni in cui non sottraeva se’ stessa.
Negli ultimi anni, partendo da Insciallah esplorò il rapporto fra oriente ed occidente. Fra mussulmani e cristiani. Una posizione sempre più precisa. Ficcante. Di denuncia.
“Se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto.”
Furono anni in cui si trovò a combattere con il cancro, l’alieno, come lo chiamava.
Alla fine l’alieno vinse, ma il mondo di Oriana ormai era cambiato. C’era sempre meno spazio per la vita e il pensiero, tanto che adesso, descriverla, è come raccontare personaggi lontani, di un’epoca morta.
“La libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente.”