Ovett e Coe. 1 agosto 1980. Giochi olimpici di Mosca. 1500 metri. Un altro pezzo della grande storia che si chiama sport….
Ovett e Coe. Prima, l’antefatto:
il ricco, ovvero Mister Nice Boy (il garbato) è di Sheffield ma nasce a Londra il 29 settembre 1956. Il povero, Mister Bad Boy (il maleducato) è nato accanto al mare, a Brighton, il 9 ottobre 1955.
Il ricco (oggi ufficialmente Lord) è arrivato quasi per caso all’atletica. Si dedicò a calpestare il tartan con aria sufficiente dopo essere passato dal fango del calcio e del rugby che, per il fisico mingherlino, gli avevano detto no. Il povero, invece è nato predestinato. Potente, inesorabile, vincente, già dall’adolescenza si era mostrato fuoriclasse del miglio (anche nella versione internazionale, limato a 1500 metri) e degli ottocento, le specialità più “british “dell’atletica.
Quella fra il signore e il proletario del mezzofondo anni ottanta non è una differenza di censo, ma di metafora. I due davano quell’impressione lì. Il ricco e il borghese. Il nobile e il ragazzo del popolo. A partire dallo stile di corsa e poi dal carattere.
Coe e Ovett. Il primo a incidere il proprio nome nella storia dell’atletica fu Ovett, il ragazzo di Brighton. Agli europei senior del 1973 ci arrivò da predestinato, portando sul petto il titolo europeo negli 800 junior dell’anno prima. Fra i “grandi”, quello di Steve fu un argento di immensa prospettiva. Alle Olimpiadi del 1976 Ovett fu un ventunenne finalista degli 800.
Arrivò quinto ma il suo stile unico diede l’impressione di essere la nuova era dell’atletica. Negli europei del 1978 Ovett fu oro nei 1500 e argento negli 800. Tutto sommato pareva un dominatore che sembrava aspettare il suo impero, e cosa di meglio delle Olimpiadi del nuovo decennio, quelle di Mosca?
Lì, però, purtroppo per lui si trovò di fronte un ragazzo con la sua stessa maglia (e predestinazione) che l’anno prima era riuscito a battere in un paio di mesi tutti i record del mezzofondo.
L’alter-ego era Sebastian Coe. Il suo passo era composto nella stessa eccezionalità in cui quello di Ovett aveva l’impronta dell’esuberanza. Come detto, per Sebastian l’atletica era stata un ripiego. Tutti sapevano che quel ragazzo aveva un talento sportivo eccezionale ma non c’erano certezze sulla disciplina che avrebbe praticato. Gli sport di squadra dissero no. L’atletica, invece, sorrise subito con risultati talmente mirabolanti che suo padre, ingegnere, anche se non sapeva niente di piste, tartan e parziali prese subito a fargli da allenatore.
Passando per un terzo posto agli europei di Praga nel 1978, nel luglio del 1979 Sebastian irruppe clamorosamente nel mondo dello sport nobile (e di Ovett) con tre record del mondo. A Oslo, in meeting, il 5 luglio colse quello degli ottocento: 1.42.33. Poi il 17, in esibizione, quello del miglio (3.49) e per concludere nel ferragosto zurighese già ricco di compensi sponsorizzati, scrisse il nuovo record dei 1500: 3.12.03.
E così, dopo l’avvento di Coe, Ovett non fu più il fuoriclasse solitario del mezzofondo. Per la prima parte del 1980 i due si evitarono e questo sfuggirsi sarebbe stato una costante in carriera.
Praticamente si dividevano i meeting e gli ingaggi, trovandosi unicamente nelle grandi occasioni istituzionali, quelle in cui dovevano indossare la maglia nazionale. Per il resto del tempo, i due si fronteggeranno a distanza, a colpi di cronometro e imbattibilità e questi due concetti, il record e la vittoria, saranno il fondamento che li separerà.
“A me interessa la vittoria, non il record. Il primato cronometrico a forza di vincere arriverà ma per me, il tempo da solo, non è così importante” sosteneva il proletario Ovett, consapevole del fatto che per Coe invece era diverso, perché quella di Sebastian non era una lotta contro l’avversario ma contro il limite umano. In particolare, il suo di limite.
Ma torniamo al 1 agosto 1980.
Mosca e l’Olimpiade furono per Ovett e Coe il primo terreno di sfida.
Erano dei giochi olimpici a metà, castrati dalla guerra in Afghanistan. Niente atleti statunitensi, tedeschi (dell’Ovest), giapponesi e di altri 65 paesi. Qualche paese occidentale c’era ma in ordine sparso e un po’ fantasioso (o senza militari o senza bandiera o….).
In questo contesto liofilizzato è chiaro che il duello fra Ovett e Coe (o Coe e Ovest) fu una delle “sfide” simbolo dei giochi. Si cominciò con i due giri di pista. Lì, Coe era favorito. Deteneva ancora il record sottratto al grande Juantorena, e già questa era dimostrazione di quanto fosse sopra gli altri. Solo che lui correva per l’ideale. Steve invece, per vincere. E questo negli 800 fu decisivo.
Infatti Steve tallonando il russo Kiroy che pareva lanciato verso una gara suicida, sorprese subito l’altro. Coe non seguì il connazionale perché buttarsi così presto non era il suo disegno e questo diede all’atleta di Brighton un vantaggio incolmabile. Steve vinse facile, sorprendendo lo stadio e gli inglesi che cominciarono a dubitare del “coraggio” del nobile.
Per la rivincita, restavano i 1500, un terreno che dall’alto dei tre anni di imbattibilità, per Ovett sembrava in discesa.
1 agosto 1980. Nel riscaldamento Ovett e Coe si ignorarono.
Sicuramente lo spirito dell’uno era concentrato sulla vittoria. Quello dell’altro, sull’ideale.
Stavolta, al colpo di pistola, Coe si mise avanti. Aveva imparato la lezione degli 800 e voleva controllare. Ovett lo seguì sicuro. Sulla distanza più lunga si sentiva forte e per vincere era certo gli servisse davvero poco: stare un passo dietro al connazionale e poi sprintare. Solo che non si accorse che si stava andando piano, sì sotto il record olimpico, ma troppo sopra le frontiere del mezzofondo anni ottanta che loro due avevano tracciato.
Praticamente la gara venne bene a Coe che passo dopo passo fece ciò che idealmente doveva fare. Quando il tedesco Straub mosse l’andatura si era già a metà gara e la corsa dei quasi quattro giri si era praticamente trasformata in un ottocento.
Il tedesco venne seguito con facilità da Coe mentre Ovett sorpreso probabilmente per la prima volta in carriera non pensò a vincere ma di aver già perso. All’ingresso in rettilineo Coe si voltò appena, sapeva che ormai l’altro era inoffensivo. Poi, fece giusto il necessario sufficiente: superò il tedesco e vinse.
Ovett arriverà terzo. Due settimane dopo, eguagliando il record di Coe dimostrerà che quella delle Olimpiadi non fu una sconfitta dovuta alla cattiva forma ma nacque da un errore un po’ tattico e un po’ mentale.
Trascurò il limite ideale a cui Ovett e Coe erano arrivati, pensando a vincere senza capire che l’unica maniera per farlo sarebbe stata quella di correre per il record mondiale, che era alla sua portata. Dopo il 1980 il duello proseguirà ancora serrato per anni, a colpi di record, vittorie, sfortune e frecciate. Si può dire che comunque, tutto sommato, senza Coe la carriera di Ovett sarebbe stata lo stesso eccezionale. Quella di Sebastian, invece no. La sua ricerca della perfezione, senza un contraltare che alzasse ogni volta l’asticella avrebbe fermato la carriera in un punto più in basso di dove ha saputo arrivare. In pratica non sarebbe stato una leggenda, ma semplicemente un campione.
Fu per ossessione dell’altro che Coe si sottopose a carichi di lavoro inimmaginabili. In pratica, seppe soffrire così tanto, solo perché Ovett esisteva. Il londinese ricorda spesso: “Era la giornata di Natale. Fuori nevicava. La mattina come al solito mi ero allenato ma almeno per quel pomeriggio avevo deciso di non uscire, standomene tranquillo. D’improvviso mi venne la certezza che in qualche altra parte dell’Inghilterra Steve, in quello stesso momento, si stava allenando. A quel punto mi cambiai, misi gli scarpini, salutai tutti ed uscii per farmi un paio d’ore tra la neve.”
In realtà, Ovett, a Natale e nelle feste comandate, non si allenava mai…
La differenza fra Ovett e Coe era evidente. La concezione di Ovett era quella di uno sport egoista, quella di Coe fu la capacità di mettersi in mostra al di là dell’evento agonistico. I primi anni ottanta furono per l’atletica l’epoca di una rivoluzione sostanziale. Lo spirito dilettantistico cominciava a diventare inconciliabile con i grandi budget promozionali degli sponsor e dei meeting che chiedevano record continui ad atleti che non potevano più permettersi preparazioni part-time. I paesi dell’est e le loro scuole di stato non avevano problemi ad adeguarsi allo sport-professione, la concezione occidentale sì. Il denaro cominciò così ad essere protagonista e ad incendiare la dialettica fra federazioni internazionali, comitati olimpici nazionali e Cio.
Chi doveva decidere le regole di ammissione alle olimpiadi e dettare le condizioni che differenziavano i dilettanti dai professionisti? In questa dialettica gli atleti avevano convenienza a muoversi da protagonisti. Già nel 1981 Coe era diventato rappresentante politico. Con un memorabile discorso a Baden Baden, mise le cose a posto. “Sono un corridore, e quindi oggi ero un po’ preoccupato di trovarmi in un contesto “politico”. Poi però, vedendo gli scatti dei dirigenti per accappararsi le tute di quegli sponsor che osteggiano così tanto, mi sono sentito a mio agio…” insomma, chiedendo perché i dirigenti potevano arricchirsi mentre gli atleti dovevano restare poveri Sebastian seppe mettere sulla stessa riga tutte le realtà dell’atletica aprendole alle sponsorizzazioni che poi verranno.
Era già abile politico, Sebastian Coe, ma la sua carriera d’atleta durò ancora a lungo. Per Ovett, invece, la gloria finì prima. Il punto conclusivo furono le Olimpiadi di Los Angeles, quando assalito da una bronchite volle gareggiare lo stesso ma in ogni arrivo la sua resa alla maschera d’ossigeno diventò una drammatica icona. Nelle stesse Olimpiadi Hollywoodiane Coe vinse ancora i 1500 battendo l’emergente connazionale Cram, e fu secondo negli 800. Ma proprio le immagini della gara del doppio giro, viste oggi, sono simbolo di un cambio d’epoca. Sebastian Coe a parte, a dominare quella finale furono atleti di colore. Era l’avvento della predisposizione genetica, che con l’espansione della tecnica al continente africano (favorita dagli sponsor) stava mutando la geografia dell’atletica.
Per i due, Ovett e Coe, come finì?
Ovett, era uno che litigava con il mondo. Per un matrimonio contrastato si staccò dalla famiglia. Poi litigò con il suo limite fisico cercando recuperi improbabili e chiuse anzitempo la carriera. Oggi vive in Australia, facendo il commentatore sportivo ma, dicono, ancora litigando con il pianeta intero.
Sebastian Coe, invece ha continuato il cammino verso la perfezione. Politica stavolta. E’ stato deputato conservatore, oggi è Lord e, cosa più importante è stato presidente del comitato olimpico di Londra 2012. Ora è presidente della IIAF.
Più ricco di così…
CC