Lo pensava Seneca:

“Per quanto vasto possa essere il terreno di coltura, da un alluce pesto ad una morte prematura, la struttura di base di ogni frustrazione resta una sola: la collisione tra un desiderio e una realtà ostile”.

Nei momenti di calma l’uomo dichiara che ha perso il controllo e questo può accadere,

Seneca comunque sosteneva che l’ira non è l’esito di un’incontrollabile eruzione delle passioni, ma di un rimediabile errore di fondo nel nostro ragionare. Secondo il filosofo a farci arrabbiare sono le aspettative pericolosamente ottimistiche nei confronti del mondo e delle persone.

L’entità della nostra reazione negativa alla frustrazione dipende in modo diretto dal nostro concetto di normalità. La rabbia non ci travolge indiscriminatamente ogni volta che ci viene negato un oggetto, ma solo quando riteniamo di avere diritto ad entrarne in possesso.

Il ricco Publio Vedio Pollione non tollerò il rumore di vetro infranto che un suo schiavo aveva provocato facendo cadere dei bicchieri di cristallo durante una festa, e lo fece gettare in una vasca piena di lamprede.

Pollione si adirò perché credeva in un universo in cui alle feste i bicchieri non si rompono mai. L’ira è dettata dalla convinzione, quasi comica, dell’ottimismo delle sue radici (benché tragica nei suoi effetti) la quale ci fa supporre che ciascuna frustrazione non rientri nei patti di base della vita.

natyan

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