Rotary: una splendida serata allo Sporting riscoprendo il Generale Dalla Chiesa

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Rotary una splendida serata allo Sporting riscoprendo il Generale Dalla Chiesa

MONZA – “Le sono infinitamente grato di avermi concesso un tuffo in un mondo stupendo fatto di trasparenza, di favole e di sogni entro il quale l’amore degli insegnanti è stato travasato con animo generoso e dal quale si è voluto attingere per dire ai più grandi che sono e restano i responsabili di quanto non è stato e non sarà realizzato perché la vita intorno possa essere più serena. E grazie anche di avermi concesso di trovarmi quasi ignoto in mezzo a tanti genitori felici”.

Così scriveva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a una preside di Partinico che lo aveva invitato ad un incontro in una scuola in quei cento giorni di Palermo dove, come prefetto completamente isolato dalla Stato e da una parte della società civile e delle Forze dell’Ordine, si era trovato a combattere da solo contro la mafia sapendo che lì avrebbe trovato la sua fine trivellato sotto i colpi della “piovra” in quel tremendo 3 settembre 1982 insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.

Una serata dedicata a quello che viene considerato il generale dell’Arma, l’emblema insieme a Salvo D’Acquisto dei Carabinieri a servizio dello Stato, del popolo e della legalità. Una serata intensa, a tratti commovente, che ha portato naturalmente a momenti di riflessione quella organizzata martedì dal Rotary Club Monza Nord Lissone e dal Rotary Club Merate in collaborazione con lo Sporting Club nella deliziosa cornice della struttura di viale Brianza.

Una data non casuale quella del 21 novembre, giorno della Virgo Fidelis, patrona dell’Arma dei Carabinieri e a pochi giorni dalla morte di Totò Riina, quel capo dei capi contro il quale il generale Dalla Chiesa combattè con forza, coraggio e tenacia proprio in quella Corleone dove Riina era nato e dominava.

Una rivisitazione intensa e a tratti sconosciuta quella della figura del grande generale attraverso il racconto di Andrea Galli, giornalista del “Corriere della Sera” che ha presentato il suo libro “Dalla Chiesa – Storia del generale dei Carabinieri che sconfisse il terrorismo e morì a Palermo ucciso dalla mafia”.

Galli ha ripercorso la storia del generale in questo libro pensato a gennaio e portato alla stampa per settembre, in occasione dell’anniversario della morte dell’amato militare. Non è stato facile ripercorrere e farsi raccontare dai testimoni oculari e dai colleghi la figura del militare e dell’uomo: figlio di un ufficiale dell’Arma, partigiano che nel 1949 chiese di partire volontario per Corleone per combattere sulle montagne il bandito Giuliano e la mafia.

“È stato un lavoro intenso, parlando con alcuni suoi uomini che all’inizio mi guardavano con diffidenza – ha raccontato l’autore – Il generale aveva dato l’ordine di non parlare con i giornalisti e un suo anziano brigadiere ha tenuto fede a quella promessa, raccontandomi solo parte di quello che certamente sapeva”.

Un libro frutto di un vero e proprio lavoro investigativo quello scritto da Andrea Galli che è andato sul posto per parlare con chi il generale davvero lo aveva conosciuto e con il quale aveva lavorato, tratteggiando un ritratto che va oltre i tanti fatti in questi anni, soprattutto su quei suoi ultimi cento giorni a Palermo.

“Questo libro ci ha restituito nostro padre”, scrivono Rita e Simona Dalla Chiesa. Ai lettori e agli italiani hanno invece fatto conoscere quel lato più umano che si nascondeva dietro alla divisa. Di un uomo talmente fedele all’Arma e al dovere da avere sacrificato la sua vita personale vedendo per la prima volta il figlio Nando attraverso le foto. Al momento della sua nascita si trovava a Corleone e dalla Sicilia non era voluto andarsene.

“Detestava i fannulloni, il complottismo e i raccomandati”, ha ricordato l’autore. Ma per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa non è stato facile lavorare. Tanti i sacrifici a quali lui e i suoi uomini si sono sottoposti soprattutto dopo la costituzione nel 1974 del Nucleo Antiterrorismo. Un calvario umano e personale, il dramma di non aver potuto neppure celebrare dignitosamente i funerali dell’amata moglie Dora. La sua figura era scomoda, era nel mirino dei terroristi e persino il giorno del funerale celebrato nell’officina della caserma le corone di fiori vennero aperte e distrutte per accertarsi che non ci fossero ordigni esplosivi.

Il generale era prima di tutto un uomo, un marito e un padre. Oltre che la guida per tanti suoi carabinieri. Che ha dovuto combattere non solo contro la mafia ma anche e soprattutto, come si evince dai racconti di chi lo ha conosciuto, contro l’invidia.

Grande tifoso dell’Inter che ricordava sugli spalti a quell’Angelo Moratti all’epoca bambino “che non basta un goal, è presto per esultare la partita non è finita”, amava le tradizioni e il rito del presepe in casa e in caserma.

Aveva ricoperto per tre anni il ruolo di comandante della Divisione Pastrengo di Milano alla quale era molto legato, successivamente assegnato a Roma come vice comandante generale dell’Arma e infine prescelto dal Presidente della Repubblica e dal Ministro degli Interni per ricoprire il ruolo di prefetto di Palermo.

“Il figlio Nando mi ha raccontato, aprendo i diari privati scritti dal padre dopo la morte della moglie, che il generale ha vissuto un grande laceramento interiore – prosegue l’autore – Arrivato a Palermo sapeva che lì avrebbe trovato la morte, ma non immaginava così presto. Pensava che gli avrebbero concesso almeno due anni e mezzo”.

Una figura troppo imponente quella del generale, una mafia ancora troppo forte quella della Sicilia del 1982. E quando approdò a Palermo lì iniziò il suo isolamento, fisico e interiore, sapeva e sentiva di essere stato messo da parte. Chiamate ai politici e alle forze dell’ordine senza risposta, evitava tutte le occasioni mondane prima che qualcuno scrivesse e fotografasse che il generale stringeva la mano a qualche mafioso.

Accanto i suoi fedelissimi uomini, i figli ai quali aveva comunque detto di non andare a trovarlo in Sicilia e la moglie che volle stargli accanto fino alla morte.

Con la grande domanda: chi ha ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa finita omertosamente sottoterra con la morte di Riina e quell’omertà di quei cinquanta siciliani che assistettero dalla finestre alla morte del generale e che, interrogati dagli investigatori, risposero “Non abbiamo visto e sentito nulla”.

Barbara Apicella

 

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