Sei ancora con me (contributo per Tribù Letteraria Brianza)

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Sei ancora con me (contributo per Tribù Letteraria Brianza)

Sei ancora con me

Mio nonno non è mai stato un uomo di molte parole, eppure io e lui abbiamo sempre comunicato con un linguaggio ad altri sconosciuto.
Quando mi metteva sulle sue ginocchia e disegnava per me, osservavo le sue lunghe e rugose dita impugnare saldamente la penna.
Lo seguivo fuori dalla porta, giù per le scale che portavano al giardino nella parte posteriore della casa dove, tra le piante e le rose delicatamente curate dal pollice “quasi verde” della nonna, si estendeva il suo orto.
Il nonno Franco, così l’ho sempre chiamato con l’artico davanti al nome a simboleggiare la sua autenticità, amava il suo orto, il suo piccolo angolo di mondo in cui tutto dipendeva da lui, ma ancora di più amava guardare noi nipoti correre tra i piccoli sentieri che aveva creato tra le zucchine, l’insalata e i pomodori, amava guardare noi, i suoi nipoti, muoversi liberi e selvaggi, come lui, una prosecuzione dei suoi arti, sangue del suo sangue, cuore del suo cuore.
Era proprio così che mi sono sempre sentita in compagnia del mio nonno Franco, parte del suo cuore.
L’orto è sempre stato il suo simbolo, un po’ come la cucina per la nonna, ma è sempre esistito anche un posto mio e suo, del nonno e della sua nipotina: la folta edera costellata da piccole campanule rosa che scendeva rigogliosa dal tronco della magnolia. Quante merende passate in quel nostro posto, quante storie mi ha raccontato il nonno, gesticolando con le sue ruvide e possenti mani, le mani di un uomo forte, che il lavoro non ha mai piegato, un uomo possente e gentile il mio nonno, proprio come la magnolia.
Da qualche mese, invece, quando lo guardavo, non riuscivo più a vedere la sua forza, vedevo invece la sua schiena curva e gli occhi, color nocciola, sovrastati da folte sopracciglia. I suoi capelli avevano abbandonato il colore corvino per cedere il posto ad un grigio che gli donava un aspetto saggio e distinto.
Come la secolare pianta del giardino che si stava man mano sfoltendo, anche il mio nonno Franco stava perdendo i suoi fiori. Ma il nostro linguaggio complice e segreto restava forte, le passeggiate nell’orto si sono sostituite con i puzzle fatti insieme: il nonno ne era estremamente geloso, ma per me lasciava sempre una sedia vuota acconto a lui e il privilegio di trovare il giusto incastro insieme.
Io ero cresciuta, non ero più la bambina che faceva merenda in giardino, e il nonno non era più il guerriero inscalfibile, eppure nulla tra di noi è mai cambiato, la nostra sintonia, il nostro linguaggio complice e amorevole, nulla è mai cambiato nei nostri cuori.

E adesso nonno, che la tua sedia è vuota, tutto è cambiato.

Non sento più il profumo del tuo dopobarba, non ridiamo più complici delle chiacchiere della nonna, non vedo più il tuo puzzle sul tavolo della cucina. Mi manca entrare in casa tua e urlare “ciao nonno!”, mi manca il tuo posto a capotavola, mi manca essere la tua adorata nipote, mi manca la tua bontà, mi manca il tuo silenzio pieno di parole.
Ma proprio quando penso di averti perso per sempre, ecco che tu mi invii un segnale. Un sogno notturno dolce e sereno in cui tu ancora puoi prendermi per mano e correre con me, un uccellino che canta sul balcone (quanto amavi osservare gli uccellini e riconoscerne la specie), un vento leggero che mi scompiglia i capelli e che mi asciuga le lacrime. Alzo gli occhi e tu sei ancora qui a parlare con me nel nostro linguaggio segreto.
Mi rivolgi un sorriso che illumina il tuo viso, contraddistinto da sempre dal grosso neo sulla guancia sinistra.
E io so che non te ne sei andato, sei ancora con me.

Francesca Motta

Sei ancora con me (contributo per Tribù Letteraria Brianza)

 

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