Surplace record. Ciclismo su pista. Velocità. Un’arte. Ma chi direbbe mai che il surplace è stato anche una trovata commerciale?
Il surplace. Mezzo sport e mezzo marketing, insomma, e ben si capisce guardando il connubio che lo creò. Tali Antonio Maspes e Giovanni Borghi. Due leggende di due campi diversi, stretti da una solida amicizia.
Il primo, un milanese che aveva vinto 7 mondiali di velocità. Un ragazzino che era nato vicino alla Fiera stregato dal Vigorelli, dove era entrato per caso. Un atleta che diventerà una leggenda della pista e del Velodromo: non solo un luogo dello sport, ma uno dei punti vitali in cui il sistema Italia scorreva, viveva, cresceva, e vinceva.
In fondo la pista era un ciclismo già fatto televisione. Il pubblico stava seduto e guardava da vicino correre, vincere o perdere, per ore e ore, i propri eroi. La pista, dunque, era un luogo che si prestava alla pubblicità. E non solo ai cartelloni.
La pista era luogo da pubblicità emozionale, come si dice oggi. Non il veicolo del semplice slogan, ma un luogo in cui il pubblico appoggia anche un po’ della propria emozione, vincolandosi più profondamente.
Lo intuì Giovanni Borghi, quello che aveva fatto diventare un piccolo capannone una Ignis, creando un marchio mondiale. uno di quelli che avevano creato il boom industriale, con automobili, lavatrici, frigoriferi e televisori.
Così, quei due amici, Antonio Maspes e Giovanni Borghi, una sera al Vigorelli inventarono il surplace. Una fermata tattica, in mezzo alla corsa. Con il ciclista immobile che aspettava che l’altro passasse avanti, per avere il vantaggio di partire da dietro. Anche l’altro quasi sempre si fermava, e così diventava una gara di resistenza e pazienza.
Guarda caso, però, tutti i surplace di Maspes si svolgevano davanti al marchio Ignis, ben stampato sulla pista. La cosa prese subito piede, si dice che al bar di fronte al Vigorelli addirittura girasse il listino prezzi dei surplace. Leggenda? Ma va… Quell’Italia conosceva il valore dello sport.
Non c’erano scritte nel tratto di pista a Masnago dove Pettenella e Bianchetto, il 27 luglio 1968, uno degli anni del ciclismo in biancoenero, si fermarono in surplace nella semifinale di velocità del Campionato Italiano.
Ma c’era la televisione, e quell’evento fu uno spot al ciclismo su pista, e a loro due, immenso. Pettenella e Bianchetto erano già la velocità a livello mondiale. Basta dire che nella finale Olimpica di Tokyo i protagonisti erano loro. La lotta continuò poi nei professionisti. Una vicenda umana e sportiva meravigliosa, fatta di anni di astuzie, rivalità, tradimenti e riavvicinamenti, altro che il Grande Fratello o Uomini Donne, qui si parla di vita vera.
Comunque, quel giorno, con le telecamere che inquadrarono 63 minuti di fermo immagine, e telecronisti che si inventavano di tutto per far passare il tempo, fu battuto il surplace record mondiale.
Il surplace record precedente, un’ora, era del papà della specialità, Maspes, tutti lo sapevano e tutti erano lì coi cronometri in mano, e così al minuto 61 si alzò un boato enorme che scosse Varese e buona parte dell’Italia davanti alla tv.
Ora, veniamo all’oggi.
Alzi la mano chi si ricordava del surplace. O del ciclismo su pista. Dei velodromi. E che a Masnago c’era uno dei velodromi più importanti d’Italia. E sa che il ciclismo può essere un veicolo pubblicitario innovativo e anche un modo per raccontare la storia d’Italia.
Eppure era così.
Mettiamoci però in mente che tutto può tornare, che provare emozione con i ciclisti veri è meglio di ciò che avviene nella Playstation e che la Francia, sulla pista, ha investito raccogliendo ori e allori. Ripartiamo?