Tommy Simpson the Tour must go home 14 luglio 1967

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Tommy Simpson the Tour must go home 14 luglio 1967

Tommy Simpson: l’antefatto era il giorno prima, sul Mont Ventoux, quando ufficialmente, un corridore morì di doping.

Il 14 luglio però, il Tour andò avanti, senza neanche farsi troppe domande, senza dibattiti sui giornali, facendo ufficialmente finta di non sapere che Tommy era morto di caldo, anfetamine e l’ossessione di andare avanti.

Andare avanti che nel ciclismo è soffrire e continuare a pedalare ad ogni costo

L’assassino era stato il Mont Ventoux, come si disse quel 14 luglio?

Ma può un monte essere un assassino? Il primo a scalare il Mont Ventoux fu il Petrarca. Cantò l’incanto di un’aria chiara e fresca dai una cima che nelle giornate nitide sa offrirti il mare.

Il ciclismo del “monte ventoso” ha descritto tutt’altra impressione. Quello della porta dell’inferno.
Il ciclismo,si sa, si nutre dei termini paraddossali della leggenda, ma per il Ventoux, non ci va lontano, e alla fine il 14 luglio si sapeva che in fondo Simpson sarebbe stato una leggenda parte di un’altra leggenda.
Il paesaggio infernale

All’inizio il mont offre un panorama insolito per quelle che si chiamano tappe alpine. La strada incide boschi di lecci, bassi, che non lasciano ombra alle pendenze che si trovano a tagliare. Poi, d’improvviso, come nei montaggi dei film di terrore, ciak, e tutto il verde sparisce. Rimane un paesaggio lunare, di terra e pietre, polvere.

Caldo. Pendenze severe, implacabili.

13 luglio 1967

Le uniche immagini di quella tappa del giorno prima, sul Mont Mentoux  del 1967, sono il biancoenero abbagliato di un corridore stravolto, un ciclista esile che spinge senza sapere di spingere, sale senza sapere di salire, traballa inebetito. Si ferma. Litiga col cambio come con la ragione di se stesso, sfiora il limite della strada come ha varcato il suo, di limite.

E’ irreale quell’inglese, come il paesaggio, il solito, arido, maledetto Mont Ventoux. Il 14 luglio si decise che quella irrealtà era la sostanza del ciclismo, e si ripartì

Gli ultimi istanti di Tommy Simpson sono quelli di un uomo condannato a pedalare, retto da due tifosi che cercano di aiutarlo probabilmente uccidendolo.

Poi Tommy Simpson si ferma. Respira irrefrenabile, guarda a terra,

Trovarono due fiale di anfetamine nella sua maglia. Altre nella sua camera d’albergo.

Il giorno dopo

Poi, il 14, davanti alla partenza di una tappa apparentemente come qualsiasi altra tappa, raccontarono che il giorno prima era un caldo terribile, che non bastavano a far fresco le foglie di fico sotto il cappellino.

Raccontarono che nella tappa si continuava a bere, e un gregario ad un certo punto portò al capitano persino del cognac, che Tommy tragugiò.

Aimard raccontò di Tommy che gli era a fianco, pedalava ma non capiva. Lui gli diceva di rallentare, non fare sciocchezze, ma l’unica risposta era l’ossessione che aveva l’inglese di provare a superarlo, pedalare più forte, andare.

The Tour must go on

E poi raccontarono che le ultime parole di Tommy furono rimettetemi in sella.

E allora, alla fine, anche quella partenza normale,in quel giorno apparentemente nornale che era il 14 luglio 1967, quello dopo un morto di doping, sembra giusto.

Perché ciò che insegna il ciclismo, dopo una caduta, un trauma, è risalire subito in sella, qualsiasi cosa sia accaduta.

Il ciclismo sa che la grandezza è nella pedalata che potrai fare in più, in faccia al dolore, alla sofferenza, in faccia all’avversario.

Questa è la leggenda del ciclismo.

E così, quel 14 luglio 1967, il Tour, ripartì…

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