Trapattoni, la leggenda iniziò così. Un campo di polvere. Un oratorio. E dopo, il campo di una grande fabbrica. La gloria poteva partire anche da lì, e non da un settore giovanile ossessionante, oppressivo, esagerato.
Genitori che non ne volevano sapere che il figlio giocasse a calcio, anche se davanti avevano quelli del Milan, che giuravano che tuo figlio sarebbe stato campione.
Possibile? Sì. Dove? In un posto lontano: la memoria del nostro paese.
In un giorno d’autunno, il padre di Giovanni Trapattoni, un promettente ragazzo che non riuscivi mai a togliergli il pallone dai piedi, che era cresciuto dentro l’oratorio a scappellotti e pallone, partì, di nascosto da sua moglie, in bicicletta, da Cusano Milanino destinazione Varedo, il campo Snia.
E pare di vederlo, quell’uomo, mentre pedala come molti altri dentro la strada dritta e polverosa, in silenzio, fra l’Italia anni cinquanta che andava a festa. Molte bici, poche auto, poche case, campi, e qualche fabbrica, qua e là.
Il racconto è suo, di Giovanni Trapattoni, come suo padre quel giorno andò di nascosto a vederlo giocare a pallone.
Voleva capire se davvero quelle gambe da centrocampista veloce e inedito per il calcio fisico di allora, potevano sostituire le braccia che sarebbero servite nei campi o in fabbrica al mangiare di tutta la famiglia.
Pare di vederlo, il padre di Trapattoni, giorni prima del viaggio a Varedo, scuotere la testa dentro al stanza dai soffitti alti della modesta casa campagnola. “Col calcio non si vive”
Lo aveva detto prima al figlio, e poi anche a quelli del Milan, in giacca e cravatta, che erano venuti attorno al tavolo a spiegare e rispiegare che quel ragazzino biondo che non voleva smettere di giocare all’oratorio poteva essere la fortuna della famiglia, eccome.
E addirittura per dimostrare quanto ci tenessero, avevano messo sul tavolo il primo stipendio da “uomo”.
Davanti ai dubbi, si era mosso in persona Gipo Viani, un innovatore, che nel suo disegno di calcio nuovo aveva bisogno proprio di ciò che il ragazzino incarnava, uno che sapeva stare a centrocampo sposando velocità e destrezza.
Quello che Viani aveva in mente era il calcio del libero e lo sbilanciamento del gioco sulle ali.
C’era bisogno di un atleta di conio nuovo, e Trapattoni era uno capace di elaborare ogni innovazione ad un ritmo più veloce del calcio anni cinquanta.
Ma restiamo a quel giorno brianzolo ai confini con Milano, A quella pedalata fra Cusano e Varedo di un genitore che poi, con negli un occhi un figlio così bravo, si convinse che il destino del Giovanni non era nei capannoni come quelli Snia che coronavano lo sfondo ma nello sviluppo di quel “football” nuovo.
L’oratorio di Cusano. Cusano. Varedo. Sono oggi storia del calcio come buona parte dei luoghi della brianza di allora. Ogni paese, ogni piccola città della padania ha avuto un attimo di riflettori puntati. Attenzione, non è questione di piccoli localismi e differenze geografiche, è questione di identità, anche nello sport.
Alla fine, raccontando gli inizi di Giovanni Trapattoni, ancora oggi descrivi la crescita, l’intelligenza e l’esperianza di quel mondo là.
Il “Giuanin” era figlio della brianza “mezza“ agricola e tre quarti industriale (errore matematico voluto) degli anni cinquanta, e di quel calcio vero di maglie strette, abilità e talento, novità e velocità ma anche rudezza. Stava crescendo anche in provincia, il calcio che fino ad allora era nell’elite solo una realtà cittadina (si pensi a Meazza).
E’ che allora il calcio non era in tv. Era le tue gambe, le tue braccia, i tuoi occhi e la tua voce.
Il calcio era essenzialmente quello che avevi sotto casa. L’altro era qualche articolo di giornale, qualche racconto, forse il ricordo di un qualche viaggio o qualche partita vista a militare, non molto di più.
E così ogni piazza fabbricava i suoi eroi, raccontava le sue leggende che a volte prendevano una strada diversa dal paese grazie agli occhi di un osservatore delle grandi squadre che ti chiedeva: vieni a provare da noi?
Era la realtà da campi un po’ in erba e un po’ no, fiato di fumo negli inverni, e sudore pesanti nelle estati. Una realtà di tribune sempre piene, e commenti non bercianti di tv ma veri, nei bar, e veraci sui giornali, un po’ più attenti ai calciatori, e un po’ meno ai marcatori. da fantacalcio.
Un altro mondo? Sì.
Più arretrato? Ma va.