Varenne.
Nel 2002, in Canada, maliconicamente, con una retrocessione all’ultimo posto per andatura non corretta, si chiude la carriera di uno dei più grandi campioni sportivi italiani di tutti i tempi. Certo, Varenne, il Capitano, non è un atleta-uomo, è un cavallo, ma è stata una figura sportiva capace di riempire di nuovo i morenti ippodromi italiani, di scatenare lo stupore dell’elite mondiale dell’ippica, di creare curve di appassionati fra persone che neanche sapevano cosa fosse un trottatore e che si sono trovati ai bordi delle piste con cori da stadio e tricolori.
Poi, dopo Varenne, le piste che ha calcato si sono svuotate.
Gli ippodromi che lui ha riempito da fuoriclasse man mano sono stati chiusi e smantellati per il calcio (vedi Milano, o Roma) e ricostruiti in angoli fuori mano, dove davano meno fastidio.
Un mondo secolare fatto di sapienza, allevamenti, selezioni, appassionati, scommesse, cultura, storie alte e popolari, è progressivamente morto nell’indifferenza. E’ rimasto vivo in una elite sempre più internazionale. Ma per il popolo, la gente, l’economia diffusa, l’ippica non esiste più.
Sottoculture uccise dalla globalizzazione, la storia è sempre quella. In questo caso l’ippica, che viveva di scommesse sulle corse (ben diverse dal mettere fortune dentro una macchinetta e perderle in dieci minuti) è stata uccisa dalle slot. Una sapienza uccisa da una tassa nascosta. Una cultura popolare, metropolitana e contadina, che l’Italia ha perso nell’oblio.
Varenne, l’ultimo eroe. Anzi, l’ultimo fuoriclasse dell’Ippica popolare. Una nascita da genitori e nonni borghesi, con qualche tratto di nobiltà. Una gioventù da qualunque, subito però abbagliata da una classe immensa. una carriera da invincibile. Suo il grande slam del Trotto Europeo. (Amerique, Lotteria di Agnano, Elitlopp). E poi l’America, dove il “Capitano” va a vincere la Breeders Crown, in un insieme di successi unico nella storia.
Unico nella storia è anche aver vinto il titolo di Cavallo nell’Anno in tre nazioni. Italia, U.S.A. e Francia. Oltre 6.000.000 di euro le somme vinte. Portò anche il record mondiale a 1.09.1 media al chilometro, ma il cronometro è un dettaglio che è passato mentre il resto è rimasto.
Varenne, ora, riposa ed è riproduttore in uno sport che in Italia sta morendo.
Uno sport che aveva pari dignità di stato e luogo con gli altri, il calcio, come dimostra la storia di San Siro (l’ippodromo accanto allo stadio, quello secolare, ormai chiuso e inglobato dal calcio).
L’Ippica, come Varenne, è ora un monumento che invecchia o chiude. Un ricordo glorioso, comunque, Varenne. Più dell’ippica, che perde anno dopo anno nome, storie, cultura, diventando miseria e abbandono.
Globalizzazione?
No, un assassinio, probabilmente.