Woodstock. All’inizio doveva semplicemente essere un festival di musica popolare, provinciale.
L’idea iniziale era confusa, come confusi erano i miti di quegli anni che stavano cambiando il mondo. Prima da parte degli organizzatori si voleva fare uno studio dove suonare, progetto che poi divenne un festival musicale.
Affittarono uno spazio, un pratone nella Contea di Orange. Promisero agli abitanti del luogo che non sarebbero arrivate più di 50.000 persone, ma le proteste si alzarono lo stesso, in una periferia così sonnacchiosa, agricola, non aperta come mentalità.
Qualcosa montò da subito. Oggi lo chiameresti marketing, un passarola simbolico fra comunità Hippie, gruppi che non sapevano bene cosa fare, citando De Gregori, ma lo facevano.
Le prevendite andarono oltre i 150.000 biglietti, e la situazione sfuggì di mano. Furono affittati altri spazi, ampliati gli impianti, ma tutto crebbe a dismisura.
Non c’erano abbastanza strade, abbastanza strutture di ricezione, abbastanza impianti igienici, abbastanza cibo, acqua, ma non importò.
Al tam tam del pubblico, si sovrappose la mobilitazione della musica alternativa di allora. Arrivarono tanti artisti da trasformare un concerto di 12 ore in una tre giorni senza tregua.
Sul palco arrivarono tutti i miti di quella generazione. La scaletta è esplicita.
Quelli che mancarono, avevano buone ragioni, come i Doors, implicati in guai giudiziari per oscenità. O come Bob Dylan, che abitava da quelle parti e fu assediato dentro casa sua.
Furono tre giorni di libertà, follia. E droghe, droghe, droghe. tre giorni di cratività musicale sul palco, che però per buona parte sfuggì al pubblico, che viveva in un’altra dimensione.
Tre giorni senza ordine che furono da subito mito. Il manifesto simbolico di una generazione che visse cambiando la cultura del mondo senza volerlo, e in fondo incapace di dare regole di sviluppo alla nuova realtà che si andava costruendo.
Cosa fu Woodstock? Alla fine un mito, una parola da ripetere, un manifesto senza molto altro attorno. Un simbolo di una affermazione ma anche di un fallimento.
Come buona parte dei miti, un qualcosa da ripetere e impugnare, senza bene capire cosa si sta tenendo fra le dita…
Resta di Woodstock però il timbro che sancì una generazione di geni musicali che si persero come buona parte dei creativi, in fretta. Molti si persero drammaticamente. Peccato.
Woostock. Insomma. Mercato e mito. Cultura e musica. Tantissimo e poco, assieme.