Siamo giunti, come ogni anno, al momento più estivo per eccellenza: quello della tintarella, degli ombrelloni piantati nella sabbia, del bagno in mare e, quindi, del costume da bagno.
Oggi come oggi, passeggiare lungo il bagnasciuga indossando il costume da bagno è un’abitudine del tutto normale.
Non ci sentiamo per nulla in imbarazzo, e non prestiamo nemmeno più molta attenzione a quei bikini forse un po’ troppo azzardati, sorridiamo e proseguiamo oltre.
Beh OGGI tutto questo è normale, ma un tempo non lo era affatto.
Le nostre nonne avrebbero considerato il nostro modo di andare in spiaggia e di fare il bagno, oltraggioso.
E le nostre bisnonne, e le nostre bisbisnonne prima di loro, non lo avrebbero neppure concepito.
Il costume da bagno non esisteva, per il semplice motivo che non esisteva ancora l’idea di fare il bagno in mare o nelle acque lacustri. Figuriamoci, quindi, il pensiero di potersi togliere i vestiti per entrare in acqua, davanti a tutti, davanti a estranei, donne e uomini.
È vero, già nell’antica Roma le donne coprivano le loro nudità con dei “semplici” teli e si immergevano nelle acque delle terme riservate alle matronae. Eppure era un’usanza ben lontana da quella di gettarsi nel mare in costume da bagno. Prima di tutto, perché le terme erano un luogo privato, considerato sicuro e, in secondo luogo, perché l’accesso era consentito alle sole donne, evitando così la promiscuità, l’imbarazzo o, come avrebbero detto all’epoca, l’oscenità.
Pertanto, le nostre antenate “più recenti” hanno scoperto la possibilità di nuotare nelle acque libere del mare, ma di fatto non sapevano come farlo, o meglio, non sapevano come poterlo fare. Entrare in acqua con i vestiti? Utilizzare, come le matronae romane, dei teli? Come potersi bagnare davanti a tutti preservando decoro e rispettabilità?
È chiaro che l’epoca in cui hanno vissuto le nostre bisbisnonne non era ancora lontanamente pronta ad accettare la donna in costume da bagno.
E così si sono ritrovate ad escogitare i sistemi più inventivi: entrare in acqua all’interno di una piccola cabina trainata da un cavallo e uscirne con gli indumenti consoni al bagno, per poi rientrarvi e cambiarsi nuovamente (il tutto nel modo più discreto possibile e lontano da sguardi inopportuni); oppure usare una “gonna da bagno”, rigorosamente lunga, con dei pesi cuciti nell’orlo, così da impedire alla gonna di gonfiarsi in acqua e di scoprire le gambe.
Degli stratagemmi che oggi riteniamo assurdi, per non parlare poi del tessuto di quei primordiali costumi: sempre e inesorabilmente pesante, affinchè non concedesse la minima trasparenza del corpo femminile a contatto con l’acqua.
Poi, finalmente, ecco arrivare gli anni Sessanta!
E mentre Mary Quant regalava alle donne le prime minigonne, frutto del suo ingegno femminista, in riva al mare comparivano i primi veri costumi da bagno, quelli che apriranno addirittura la strada ai bikini.
Finalmente la donna si immerge nel mare libera, mostrando fiera il suo corpo, un corpo di cui è padrona a tutti gli effetti, un corpo sul quale lei e LEI soltanto può dettare legge.
Così, noi donne ci siamo tuffate in un altro mare, non concreto bensì ideologico, ma altrettanto bello. Il mare del femminismo e della rivendicazione del nostro corpo, un corpo che ci appartiene e che non dobbiamo nascondere.
Oggi ci immergiamo nelle acque profonde ma affascinanti di questo mare consapevoli di uscirne più forti, più coraggiose, più padrone di noi stesse, ma altrettanto consapevoli di doverci nuotare ancora e ancora e ancora e…chissà dove arriveremo la prossima estate.
Francesca Motta