Clay Regazzoni: il figlio della Brianza allargata

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Clay Regazzoni
Clay Regazzoni

Clay Regazzoni. Figlio della Brianza allargata, come dice il titolo?

Di sicuro, davanti a ciò, gli svizzeri italiani insorgeranno, ma per pareggiare, facciamo anche che Monza, per ragione transitica, diventa l’autodromo del Ticino allargato…

Perchè, se è facile disegnare con precisione una geografia per quel che riguarda i confini fatti di monti e fiumi, più dura, anzi impossibile, è tracciare confini con gli uomini, e le loro storie.

Brianzoli, Insubrici, Ticinesi, Lariani, millenni disegnati da una stessa cultura. Una realtà dei fatti, leggibile nella azioni degli abitanti, e nelle architetture che ci circondano, difficile fare distinzioni.

Storie comuni. Anche nello sport. E a dimostrare quanto questo sia vero, basta fare un nome: Clay Regazzoni.

Il Ticino degli anni settanta aveva confini anche “sociali” meno marcati rispetto all’Italia appena di là da Chiasso.

Una visione comune? No, ma un modo di vedere, sì.

Inutile dire che il Ticino guardava oltre il confine nella musica, nella cultura e soprattutto, nello sport. Ancor più, oltre il confine, guardava un atleta che di passione aveva i motori.

Monza, l’autodromo del mondo, era lì, a qualche decina di minuti.

La data del 5 settembre, entra due volte nella vita di Clay. La prima è data di nascita. Gianclaudio Regazzoni viene al mondo il 5 settembre 1939.  Fin da ragazzo è apprendista nella carrozzeria di suo zio. Lì, annusa da vicino la benzina, l’olio, il rumore di una chiave inglese, quel muovere di meccanismi che lo renderà grande collaudatore, oltre che pilota. Capo meccanico, oltre che divo di scuderia.

Sono anni di passaggio di un adolescente destinato a fama mondiale. puoi vederlo anche dall’evoluzione del suo nome. Per l’anagrafe Gianclaudio, in famiglia viene subito semplificato in un Claid che poi, il mondo delle corse, trasforma nell’inglesizzato Clay.

Nell’agonismo su motori, parte con le corse in salita organizzate dalla Federazione Svizzera. Siamo nel 63. Ha talento. Vince.

Passa subito in Formula 3. Alla Brabham. Non è più ragazzo di bottega in una officina carrozzeria. La strada che percorre nei giorni liberi è Mendrisio Monza.

Monza. L’autodromo di casa, il posto del cuore, dove divertirsi. La Formula 2 arriva nel 1966. Anche lì vola. Sono anni della Tecno, perfetta fusione fra di uomini al qua e di là del confine.

Maranello diventa già sua vita nel 1969. I primi passi sono però una delusione. La macchina di Formula 2, la Dino 166 F2 ha problemi. Clay per tenerla in piedi ci mette il talento che gli regalerà la Formula 1, ma non basta. Lui comunque resta pilota Ferrari.

E arriva il 1970. La Formula 1. L’inizio è una staffetta con Giunti, a fare il secondo di Ickx. Si conquista lo spazio titolare con i risultati. Monza è sua.

Già. Autodromo. 5 settembre 1970. 200.000 presenti (non tutti paganti, specchio di un mondo diverso, uno sport romantico che sembra lontano millenni da quello odierno).

Una fusione di popoli. 40.000 ticinesi, sparsi per il percorso.

Le prove avevano raccontato la tragedia di Rindt. Clay si era qualificato secondo. In gara passa. E controlla. Sicuro. Vincente.

La Ferrari torna a vincere a Monza. Una festa di popolo. Anzi di popoli. Clay diventa il modo per il Canton Ticino di entrare per anni nella grande storia dello sport.

La sua vittoria a Monza, nello stesso Gp in cui Rindt se ne andava, era un po’ un passaggio di testimone, perchè un certo automobilismo di uomini, personaggi, prima che macchine, potesse continuare.

Così fu. Quei baffi, la sua simpatia, la capacità di vivere al vertice sia la moda, sia il Jet Set, che la pista, fecero di Clay un personaggio vero, genuino.

Sport e rotocalco, assieme.

I piloti sono allora ancora fatto di costume. Gestivano una passione sociale. La reggevano sulle spalle. Dovevano rappresentare sogni, e ci riuscivano restando campioni, o meglio simboli di qualcosa, sia nella vita che in pista.

Da pilota, Clay non visse gli anni migliori della Ferrari. Se ne andrà da Maranello per un breve periodo, poi tornerà, suggerendo un giovane pilota che aveva conosciuto alla BRM.

Il giovani era Niki Lauda.

Un mondo umano e di vivere lo sport quasi opposto al suo. Clay aprì le porte alla generazione successiva alla sua. Se la portò in casa perchè era giusto, pur probabilmente sapendo che lo avrebbe surclassato. Quel che contava era la Ferrari.

I numeri di una carriera enorme nella storia di Clay Regazzoni contano anche poco. Per stare alla Formula uno, 28 podi possono bastare. Clay fu uno degli ultimi a lasciare il segno oltre i numeri e le statistiche. A manifestare che essere pilota può andare al di là della macchina, della gara e della categoria.

Basta l’uomo Clay Regazzoni, senza numeri, per fare una leggenda.

L’uomo che ad un certo punto ruppe con Enzo Ferrari per questioni umane. Faccende che non riguardavano i soldi ma l’essere pilota, e la marca, e Lauda, e il futuro dell’automobilismo.

Il suo essere uomo di un’altra epoca lo limiterà anche alla Williams, e la storia andrà a finire con dei freni che si rompono, un muretto di cemento, e l’impossibilità di usare le gambe.

Inutile dire che Clay anche se invalido, continuerà a vivere come sempre, da uomo. Da telecronista. Da pilota. Da disabile che insegnava ad altri ad essere disabile ma vivere pienamente la vita e lo sport.

la sua Fondazione sostenne per anni l’Ospedale di Magenta, a dire ancora una volta che confini, fra terre, sono difficili da tracciare.

Morì alla guida, nel 2006. L’autopsia dimostrò che non era stato l’incidente. Se n’era andato via prima di incontrare il guard rail, per un malore.

Oggi Clay Regazzoni è sepolto nel cimitero di Porza. Da lì sopra vede Lugano, e il lago e poi oltre. E non vede confini. Solo un’unica terra, che si stende verso la pianura, e un’autodromo, messo là in mezzo.

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