Una tenera famiglia di paperelle attraversa la strada.
Sull’asfalto ruvido e caldo battuto dal primo sole primaverile, già alto nel cielo, zampetta spedita e attenta mamma papera, un occhio puntato sulla strada davanti a sé, e un altro rivolto all’indietro verso i suoi cuccioli. L’andatura goffa e simpatica.
Sembrano essere spuntate dal nulla.
Le zampe palmate. Le piume screziate dello stesso colore di un raggio di sole. I cuccioli, piccoli batuffoli dal morbido piumaggio, posano lo sguardo curioso sul mondo che li circonda. Ispezionano ogni angolo, ogni elemento, ogni altro essere vivente di questo mondo così nuovo e altrettanto meraviglioso che vedono sbocciare per la prima volta nei loro occhi. In tutti i loro sensi.
La simpatica famigliola sta attraversando la strada. Una fila di macchine hanno arrestato il loro viaggio per permettere alla timorosa mamma papera di proseguire al sicuro insieme ai suoi cuccioli.
Questione di minuti. Due, tre, cinque al massimo. Proprio questione di attimi. Attimi bellissimi e unici. E la traversata delle paperelle è compiuta. Mamma papera ha condotto sani e salvi i suoi cuccioli sull’altro ciglio della strada. Dove l’asfalto cede il passo all’erba alta e brillante che costeggia un acciottolato che li condurrà a uno stagno immerso nel verde.
Non vi è stato alcun tentennamento da parte dei conducenti delle macchine che si sono fermate per lasciare passare in tutta sicurezza la tenera famiglia palmata.
Ci siamo arrestati automaticamente e sincronicamente davanti alla natura.
E partecipe di questo commovente istante in cui l’uomo si è chinato al mondo che lo circonda, si è fatto custode e protettore della Terra e delle sue creature, non potevo non chiedermi come mai per noi uomini sia diventato così difficile concedersi dei momenti, degli attimi, in cui cedere il passo alla natura. Spianarle la strada e restare a guardare la meraviglia del nostro mondo che semplicemente si compie.
Quella famiglia di adorabili paperelle ha saputo risvegliare nel traffico quotidiano e usuale della vita, quello che potremmo definire un semplice ma verissimo istante di consapevolezza. E di riscoperta.
La riscoperta del senso puro, autentico e incorruttibile dell’umanità. Un’umanità che è tale, non perché più forte e spregiudicata nei confronti di qualsiasi altra forma di vita. Non perché innalza palazzi e cola cemento, noncurante della vita che va così a soffocare e a tappare per sempre. Un’umanità che è tale perché sa fermarsi laddove necessario davanti alla natura. Che sa quando e dove cessare la sua colonizzazione della Terra. Che sa attendere e meravigliarsi. Che sa stupirsi e accettare. Ma soprattutto, che sa rispettare.
Rispettare la Terra in quanto ospite di un pianeta accogliente, un nido caldo e protettivo in cui poter crescere e vivere. E non un terreno da sfruttare. Non una risorsa da spremere all’infinito. Non una sorgente di energie da sfinire ed esaurire. Non un involucro di qualcosa che ci appartiene.
Difendere, non rivendicare.
Siamo degni ospiti, non spietati padroni.
Siamo figli fieri della nostra Terra, non feroci usurpatori.
È bastato un istante. Un solo frangente di stallo di fronte alla meraviglia della natura, per renderci conto di quanto il nostro legame con la Terra sia viscerale.
Istintivo.
Eppure così contraddittorio.
Riempiamo i nostri balconi di piante e fiori, e poi non facciamo altro che costruire giganti di cemento che estirpano e soffocano qualsiasi creazione della terra.
Andiamo alla ricerca delle montagne più alte per poter respirare l’aria pulita e incontaminata che si incontra solo sulle vette più indomite. Eppure liberiamo ogni giorno, ogni ora, ogni millesimo di secondo, sostanze nocive nell’aria. Nel nostro cielo. Nell’aria che respiriamo. In quell’aria che è tanto nostra quanto quella cui andiamo alla disperata ricerca scalando le cime delle montagne.
Amiamo tuffarci nel mare e farci rincorrere dalle sue onde. Ci abbandoniamo alla rassicurante sensazione dell’acqua salata che ci mantiene a galla, accarezzandoci la pelle e solleticando i nostri capelli. E poi, in quelle stesse e tanto amate acque, riversiamo quantità esorbitanti di materiali e sostanze nocive. Facciamo di quel tanto agognato mare, la nostra discarica.
Siamo i figli indegni di questa meravigliosa Terra.
Eppure…ci basterebbe un solo istante. Un solo e semplice, breve, momento di arresto. Fermiamoci e guardiamo la natura. Fermiamoci e lasciamo che la natura viva. Fermiamoci e cediamole il passo.
Fermiamoci. Un solo istante. Un attimo che potrebbe regalarcene altri mille.
Un momento di consapevolezza che potrebbe significare la salvezza di tutto.
Quel frangente, sì proprio quello che ti sta passando davanti agli occhi adesso, che se lasciato scivolare via…potrebbe significare la fine di ogni cosa.
Fermiamoci. Non tra un decennio. Non tra un anno. Non domani. Fermiamoci ora.
Francesca Motta