“Tutte le creature coesistono in un delicato equilibrio, dalla piccola formica alla saltellante antilope […] Quando moriamo i nostri corpi diventano erba e le antilopi mangiano l’erba, e così siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita”.
Queste le parole che il grande e saggio re Mufasa rivolge al figlio Simba.
Chi non ricorda questa scena dal celebre cartone animato Il Re Leone? Il nobile felino adulto, con la criniera cremisi ad incorniciargli il muso, proprio come una corona, sulla sommità della cosiddetta Rupe dei Re, impartisce un importantissimo insegnamento di vita al cucciolo Simba.
Con la savana ai loro piedi e soltanto il cielo cristallino di una nuova alba a sovrastarli, i protagonisti di uno dei più grandi capolavori per bambini, ci insegnano che nulla ci appartiene. Non i grandi alberi che offrono ombra e refrigerio nelle calde giornate soleggiate, non il prato verde nel quale è quasi terapeutico far scivolare le nostre dita, non i fiori che vi crescono, o le farfalle e le api che sui loro petali si riposano e sostano dopo un lungo volteggiare.
Non siamo noi esseri umani, per quale nobile titolo si possa possedere; né il fiero e regale leone, non a caso soprannominato il re della savana; e neppure il caldo sole o la luminosa luna, a vantare il dominio sulla terra che ci circonda e sulle sue creature.

L’insegnamento che il leone Mufasa impartisce al figlio, è un monito che tutti noi, grandi e piccini, dovremmo portare con noi, nella nostra memoria per tutta la vita.
Siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita.
Non esiste alba che non incida sull’inizio della nostra giornata, non esiste una sola nostra azione che non implichi delle conseguenze per l’ambiente intero. E non esiste tramonto senza che noi, esseri viventi non tramontiamo con esso, ponendo la parola fine alla nostra giornata.
La Terra è un luogo colmo di bellezze, di creature meravigliose e di creazioni fenomenali. Un luogo che appaga la vista e tutti i nostri sensi, lasciandoci una sensazione di pace e di appartenenza che ricorda la culla protettiva del ventre materno.
Attenzione, però, perchè dobbiamo cominciare a fare davvero molta attenzione a questa “appartenenza”, che non si riferisce, come noi umani oggi troppo spesso fraintendiamo, al diritto di rivendicarla come nostra. Una nostra proprietà. Niente affatto. La Terra ci appartiene solo in quanto esseri viventi appartenenti alla Terra, facenti parte di essa. E non il contrario.
Che cosa faremmo noi uomini se ci trovassimo nella stessa posizione del saggio Mufasa?
L’ambiente che abitiamo e che sfruttiamo a dismisura, parla per noi e risponde di per sé a questa domanda. Non ci serve alcuna rupe dalla cui sommità osservare la natura sottostante, i suoi colori sgargianti, i suoi animali liberi di correre indisturbati nelle terre incontaminate, per capire che il nostro istinto sarebbe quello di possederla. Di nominarci sovrani assoluti e padroni della Terra, e di far valere questa nostra “carica” con ogni tipo di dimostrazione concreta, che limiti sempre di più il confine, che dovrebbe essere inviolabile, della natura, per espandere quello umano.

Dov’è finita, dovremmo chiederci, quella originaria convivenza tra uomo e natura? Quella preservazione da parte degli uomini dell’ambiente che abitano? Quella consapevolezza, vera e inoppugnabile, di essere tutti parte di un unico grande cerchio. Quella consapevolezza che ci porta a riconoscere che se la natura crolla, se la natura collassa, tutti gli esseri viventi, e noi umani con essi, siamo destinati a subire la stessa sorte.
Il cerchio della vita.
Quell’immenso cerchio che non inizia e finisce con noi. Apriamo gli occhi su questa realtà. Noi siamo parte di un cerchio, di un ciclo di vita di cui siamo “soltanto” un anello della catena che lo compone. Pertanto, cessiamo di spezzare altri anelli e di erigerci a padroni assoluti della Terra, perchè con un anello spezzato crolla tutta la catena e il cerchio della vita si esaurisce.

La bellezza e la magia del territorio in cui viviamo non dipende dalla nostra rivendicazione di potere o di possesso su di esso. Smettiamola di essere i tiranni avidi e sfruttatori dell’ambiente che ci ospita, e diventiamone i custodi protettori.
Non pretendiamo invano di innalzarci sulla cima di una piramide la cui ombra si staglia minacciosa sulla natura, bensì lasciamoci trascinare all’interno di quell’equilibrio che avvolge ogni cosa, ogni elemento, ogni essere vivente, che permette alle onde di infrangersi sugli scogli e di bagnare la sabbia, e alla terra di brillare sotto i raggi della stella del mattino.
Prendiamo parte al grande cerchio della vita.
Francesca Motta