Il Mondiale di Francesco Moser: San Cristobal

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Il Mondiale di Francesco Moser
Il Mondiale di Francesco Moser

Il Mondiale di Francesco Moser: a San Cristobal, in Venezuela.

Nella storia del ciclismo, il secondo Mondiale corso fuori dall’Europa, in uno sport che ancora non andava di là dal vecchio continente.

A leggere i partecipanti, capisci il momento storico di passaggio che il ciclismo stava vivendo. Da una parte, vecchi come Merkcx, Gimondi e Bitossi (che arriverà terzo). Dall’altra giovani come Hinault e Saronni.

In mezzo, c’era lui, Francesco Moser, e un torrente di rabbia verso la maglia iridata che non si era mai interrotto da un anno prima, a Ostuni, quando in due, Francesco con Maertens, si erano giocati il Mondiale in una volata interminabile.

Pochi centimetri erano stati la delusione di una nazione intera, e di una carriera testarda, quella di Francesco. Quella delusione che ancora pesava nella fuga finale che sembrava la fotocopia sudamericana di un anno prima.

A far compagnia a Francesco, dopo una gara corsa nel maltempo, non era più un belga, ma un tedesco: Dietrich Thurau.

Thurau, figlio di una Germania che ancora non sfoderava corridori (Altig a parte), ma si preparava a farlo.

Anzi, Thurau fu il prototipo della razza che sarebbe venuta. Passisti potenti, che sapevano cavarsela anche in salita, e in volata.

Alla fine dunque si trovarono da soli, in due. Francesco e Dietrich.

Li attendeva uno sprint a due. Sul ricordo di 12 mesi prima poteva essere l’incubo di Francesco. ma non lo fu.  Moser, in quel finale, fu i Moser.

Razza testarda, trentina. Quello che aveva imparato da generazioni di agricoltori. Andava avanti, senza pensare al prima, o al dopo. Avanti, ovunque e sempre, senza chiedersi del dopo. Tirò sempre lui. Forò. Si fermò. Cambiò la ruota e ripartì. Riprese Thurau e ricominciò. Lì avanti, a tirare.

Il Mondiale di Francesco Moser.

Quella volata, in fondo, non fu una volata, ma solo l’imposizione di una volontà. Semplicemente Francesco continuò a fare quello che doveva. Stare davanti.

Finalmente Moser era Mondiale. Finalmente avrebbe indossato la maglia. Finalmente era scritto che fra i continuatori del ciclismo, dopo la caduta del dio Merckx, c’era anche lui.

Non ci fu tempo di festeggiare quel giorno l’ennesimo Campione Mondiale italiano.

Il Mondiale di Francesco Moser.

L’arrivo fu allagato da una pioggia torrenziale. Il mondiale passò in fretta. A guardare festeggiare il trentino, c’era un giovane che per la prima volta, quel giorno, aveva vestito la maglia azzurra dei professionisti. Ventenne. Tale Giuseppe Saronni.

Andava forte dappertutto. Ed era ben più veloce di Moser in volata. Negli anni a venire, la sua presenza avrebbe pesato sulla carriera di Moser, ben più della tempesta venezuelana.

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