Paul Newman, ovvero la storia di un uomo che nel racconto di definisce “normale” ma che così normale non è. La sua vita è quella di tanti divi, una infanzia difficile anche se da ricco ebreo in un paese difficile come l’America degli anni della depressione. Dei rapporti coi genitori inesistenti, le insicurezze. La voglia di essere normale che lo avvolse sempre ma anche la metodica testardaggine di arrivare. Il primo matrimonio, il piacere di recitare, la fama con Lassù qualcuno mi ama che sembrava un film creato per lui, la storia di Rocky Graziano, bella, dannata, malinconica, violenta.
Aveva già avuto 3 figli, uno morirà di overdose e lo riempirà di rimorsi. Lui, avviato verso la fama, non amava la fama, o almeno la sua parte sociale, i fan, i giornali, le feste. Era avviato verso una vita da Hollywood, accompagnata magari da dipendenze, ebbe un rapporto complicato con l’alcool, ma poi incontrò un’altra diva, Joan Woodward. Fu subito passione sfrenata, che distrusse il primo matrimonio ma lo proiettò nella nuova via.
Si risposò nel 1958, e da quel momento Joan diventò la sua guida, spirituale, affettiva. Oltre al cinema, che lo vide divo e interprete indimenticabile di tanti capolavori (fra i tanti La Gatta sul tetto che scotta, Lo Spaccone e quelli in coppia con Redford) e incassi da record, la sua vita diventò automobilismo e impegno sociale. Attore, democratico e pilota (fino agli 80 anni). Con la stessa intensità. Mai fermo. Con Joan ebbe 3 figlie, e una vita armoniosa e intensa. Una storia di sintonia di coppia che ricorda quella di Johnny Cash.
Paul Newman morì nel 2008 di cancro ai polmoni, rifiutando le ultime cure. Rimane il mito, la sua immagine, il suo sguardo duro e dolce, affascinante e perfetto. E i suoi film, per la gran parte indimenticabili.