20 e 25 novembre. Non è un caso che le giornate mondiali in onore dei diritti del bambino e contro la violenza sulle donne cadano a così poca distanza l’una dall’altra.
Il bambino è l’essenza più pura dell’essere umano. La prima e incorrotta tappa della vita dell’uomo.
La donna, la sua metà più algida e cristallina. La controparte sensibile e empatica dell’universo maschile.
Il bambino e la donna. Due realtà dell’essere umano, senza le quali l’intero essere non sarebbe. Non nascerebbe. Non vivrebbe.
Imprescindibili. Basilari. Irrinunciabili. Vitali.
E allora perché? Perché esistono ancora, ancora oggi nel 2020, dopo secoli e secoli di storia dell’umanità, giornate mondiali per ricordare all’intero genere umano quanto questi due elementi di vita, debbano essere rispettati e tutelati?
Perché l’essere umano ha bisogno di giornate mondiali per ricordarsi che un bambino ha il diritto inalienabile di vivere la propria infanzia con serenità, protezione e amore?
E già il fatto che esista, che debba esistere, una giornata mondiale contro la violenza sulle donne la dice lunga sugli errori imperdonabili che il genere umano ha commesso nel corso di quella che non mi sento nemmeno di definire “evoluzione”.
Che fine ha fatto l’umanità? Quel concetto che, da sempre, ha contraddistinto la nostra specie. Quale oscuro e incomprensibile percorso ha intrapreso il genere umano per arrivare a tanto? Quali gli errori che non abbiamo saputo vedere e che ci sono sfuggiti di mano, corrompendo visceralmente la nostra esistenza?
Mentre sogniamo il giorno in cui, finalmente, non ci sarà più bisogno di celebrare queste giornate, ricordiamoci che violare i diritti di un bambino è come togliere ossigeno al pianeta intero. Che fare violenza su una donna è come strappare un fiore da terra per poi rigettarlo morente sul prato.
Un bambino senza diritti, senza un’infanzia vissuta serenamente, sperimentata, capita, goduta, è un albero privato delle sue radici. Per quanto possa apparire forte e imponente, rigoglioso, robusto e vivo, non ha sostegno sotto il suo tronco. Non ha fondamenta sulle quali ergersi orgoglioso e fiero, sicuro e stabile. È un albero senza nutrimento, privo di quella linfa vitale che dal nucleo della terra lo percorre fino alla punta dei rami e alle sue foglie.
Privare un bambino dell’inviolabile dritto a una crescita serena e protetta è privare l’intero genere umano di vita e di speranza. È come riempire un vaso di terra, annaffiarlo quotidianamente con cura, ma senza averci messo al suo interno la gemma. Quella piccola e forse apparentemente trascurabile gemma dalla quale, però, dipende il destino della vita stessa.
Perché i giochi, i sorrisi, la spensieratezza e la coscienza del bambino di oggi, sono la responsabilità, la sensibilità e l’accortezza dell’adulto di domani.
E maltrattare una donna, violarla nella mente, nel corpo e nell’anima è l’atto più meschino che si possa compiere.
Ogni donna picchiata, sfregiata, violata, perseguitata, è una stella in meno che brilla nel cielo. Chi compie violenza contro una donna, maltratta anche se stesso, privandosi di quella luce insostituibile e irrecuperabile.
Ogni volta che una donna viene maltrattata, la terra piange. Piange lacrime viscerali, profonde, straziate.
È un dolore cupo e sordo, come il martellare costante e incessante di un cuore ingannato e rotto in mille pezzi, nel nostro petto, contro le nostre ossa. È il dolore per un amore che amore non è. Non lo è mai stato. E questo è terribilmente triste.
Perché non è amore picchiare la propria compagna. Non è amore violarla nel profondo, con parole, pugni, gesti o azioni. Non è amore se ci considerano “una loro proprietà”. Non è amore se non sanno accettare un nostro NO come risposta. Non è amore se le carezze si tramutano in lividi. Non è amore.
Non è amore.
E allora celebriamo queste due giornate, tanto fondamentali quanto dolorose da ricordare, augurandoci che siano le ultime e impegnandoci realmente affinché sia così.
Lasciamo che gli alberi affondino nella terra sane, forti e robuste radici. E facciamo brillare esplosivamente le stelle in cielo.
Perché siamo meglio, molto meglio, di così.
Francesca Motta