Dorando Pietri. 1908. Olimpiadi di Londra.
Siamo ai primordi del novecento e ai primordi dello sport, che allora era un insieme di discipline pionieristiche, lontane da quelle che conosciamo oggi. Nelle regole e alcune anche nella sostanza, si pensi al tiro alla fune.
Olimpiadi di Londra: un po’ un ensemble retorico sulle possibilità fisiche dell’uomo del secolo della luce e un po’ esposizione universale, questo era l’orizzonte.
Olimpiadi. Una fabbrica di storie e civiltà dell’epoca delle illusioni, messa appena prima della grande disillusione, il conflitto di 10.000.000 di morti che 6 anni dopo era lì che aspettava.
La storia immensa di quei giochi fu italiana: quella di Dorando Pietri.
Dorando Pietri parti da Carpi, ed ha anche molti contorni romanzati. Di sicuro, Dorando Petri aveva un talento, la corsa.
In una vicenda che ricorda un po’ il cerchio di Giotto che favorì la scoperta di Cimabue, sembra che anche Dorando fu scoperto casualmente, durante una corsa, quando in abiti borghesi stette dietro facilmente al campione dell’epoca.
Un garzone, quello era Dorando secondo la leggenda prima di quelle Olimpiadi. Non era così. Era già un atleta da gran fondo. Uno fra i più importanti, in Italia e all’estero.
In carriera aveva già vinto la 30 chilometri di Parigi ed altre corse internazionali, fra le quali quella di preparazione ad Atene. In quella olimpiade si ritirò a metà percorso per dissenteria dovuta ad acqua contaminata. Si parla addirittura di un sabotaggio voluto.
Comunque al momento del ritiro era in testa con 5 minuti di vantaggio, con buone probabilità di mantenersi avanti. Insomma, a Londra ai nastri di partenza, Dorando era uno dei favoriti, non un uomo venuto dal nulla che inseguiva un sogno.
Un campione, e come tale corse. Programmò la fatica, parti tranquillo, giocando sulla regolarità. Rimonto da metà percorso, al 39 chilometro era primo, come previsto. Qualcosa comunque sbagliò. Dopo Atene, ebbe un altro problema legato all’acqua: la disidratazione.
Fu assalito dai crampi.
L’arrivo fu un inferno con i giudici che lo sorressero per fargli varcare il traguardo.
A questo punto, arte e politica concorsero per trasformare una banale vittoria (che sarebbe arrivata senza un ricorso degli sconfitti) in una leggenda.
Gli Stati Uniti fecero ricorso contro i giudici, per far vincere il connazionale secondo arrivato. Fu una protesta vibrata, che passò dalla ambasciata a cui il governo inglese non potè dire di no, influenzando la decisione di squalificare l’italiano.
A questo punto Dorando Pietri sarebbe potuto sparire come un personaggio che per sorte era stato cancellato da un possibile grande trionfo. Ma intervenne l’arte, o meglio, la narrazione.
Sul traguardo c’era Sir Conan Doyle, l’autore di Tarzan, che descrisse la sconfitta e il dramma dell’italiano in maniera letteraria sul Daily Mail.
Il giorno dopo, caricata dall’inchiostro dei giornali, era una nazione ad aver vissuto quella gara a chiedere giustizia. Una emozione che arrivò fino alla regina.
Il resto fu la leggenda che fece di Dorando uno degli eroi dello sport, del valore, della sofferenza, del sacrificio, della sfortuna e del destino.
Sport e letteratura. realtà di costruire l’eterno, e di cambiare le sorti del mondo.