Pantani 1998.
Se ami ancora il ciclismo, la nostalgio ogni volta ti porta lì, a quel giro, a quel Tour, al 1998.
E lì ad aspettarti c’è sempre lui. Marco Pantani.
Pantani 1998.
Un dei tanti Tour della potenza, delle cronometro decisive, delle macchine da sessanta all’ora che prima che iniziassero le montagne, avevano già demolito gli scalatori.
La storia era sempre quella. In salita. i passisti dovevano solo resistere, erano gli altri che dovevano andare oltre, troppo oltre.
Fino a quell’anno.
Pantani 1998. 22 luglio. Plateau de Beille.
L’arrivo più duro. La solita passerella che quelli destinati a vincere il Tour lasciavano ai piccolini, perchè ci provassero. D’altra parte Marco ha oltre 4 minuti e mezzo da un Ullrich che non ha dato il minimo cenno di cedimento, dove vuoi che vada?
Ma nell’aria, c’era qualcosa di diverso. Un misto fra insicurezza e arroganza, quelle strane alchimie umane, metteva fuori asse il tedesco Telekom. Nervoso.
All’inizio del Plateau, Ullrich forò. Niente di speciale, c’è tempo per recuperare. Certo, a volte succedeva che proprio in quel momento gli avversari ti attaccassero, e quindi bisognava fare attenzione. Ma non avvenne.
“Volevo attaccare prima, ma Ullrich ha forato” dirà poi Marco Pantani.
Ma alla lealtà il prodotto del ciclismo di stato non ci crede, e non si fida neanche delle sensazione della squadra, tanto che nell’inseguimento la lascia indietro.
Rientrò. A tredici chilometri dall’arrivo, Marco lancia uno sguardo breve, e poi parte. Ullrich cade nella trappola. Forse niente di diverso avrebbe potuto fare, ma il suo ruolo sarebbe stato di salire con il passo giusto, 4 minuti e mezzo sono tanti.
Dopo, per tutti gli altri 13 chilometri, Marco non scatterà più. Neanche quando Ullrich mollerà Marco aveva scattato. Semplicemente dimostrò che la salita, per lui, rispetto agli altri corridori, era un mondo diverso. Per lui soffrire sulle pendenze non era correre, era volare. Lo aveva mostrato da bambino, da ragazzo. lo aveva mostrato da professionista. Quella sofferenza era gioia, in fondo. Liberazione, l’unico posto della terra veramente suo.
Al traguardo, Marco Pantani arrivò solo.
Ullrich sarà ottavo, ad 1.40.
Il suo sguardo diceva tante cose. Alla fatica, ora, mostrava la paura e la netta sensazione che il Tour non era finito. La stessa sensazione di quando ci si misura con qualcosa che non si conosce, con qualcosa di nuovo, anzi d’antico, l”imprevedibilità del genio, quello che Marco era davanti alle salite.
Il Tour, ancora una volta, si preparava ad essere monumento. Vita. Cosa amara. Leggenda. A scrivere storie, Cosa diversa dal carrozzone attuale in cui un selfie, uno spettatore distratto possono rovinare una corsa, una carriera, una vita.
“Forse alle Deux Alpes mi vedrete, adesso non ci voglio pensare…”.
Pantani 98 passò da lì. Si tolse la bandana…
Era il 27 luglio…
A risentirci