Il viaggio che ci accompagna nel mondo dell’arte, fa tappa oggi all’interno di una rappresentazione dolorosa e veritiera, simbolica ed esplicativa dell’orrore delle persecuzioni e del genocidio ebreo.
Crocifissione Bianca di Marc Chagall ~ 1938 ~ Art Institute di Chicago
Come il titolo stesso preannuncia chiaramente, ci ritroviamo di fronte ad un dipinto in cui le tinte del bianco hanno preso il sopravvento. Sullo spazio e sulle figure. Sulla scena e sulla narrazione.
Bianco. Il colore non colore. Una scelta forse azzardata quella dell’artista, ma sicuramente vincente. Avvolgendo l’intera ambientazione e rappresentazione della sua opera d’arte nel bianco, Chagall ci trasmette il turbinio di emozioni e di paure, di angosce e di terrore, di stupore e incredulità, di panico e di torpore che le persecuzioni e le uccisioni delle popolazioni ebraiche hanno suscitato nei cuori delle vittime che l’hanno vissute direttamente e nei nostri che, oggi, ricordiamo l’atroce accaduto.
Una valanga inesorabile di sensazioni di puro terrore che si intrecciano, si legano e si incontrano, mischiandosi e avvolgendosi, accalcandosi le une sulle altre in un disperato bisogno di rifugio, di salvezza, fino ad annientarsi.
Chagall rappresenta magistralmente questo annientamento emotivo e fisico nell’utilizzo del bianco, un colore che colore non è. Perché racchiude in sé la somma di tutti quanti i colori che si annientano gli uni con gli altri.
Tintura più giusta per raffigurare lo sterminio incontrastato e feroce, disumano, del popolo ebreo, non poteva esserci.
In una spirale circolare, che il lettore dovrebbe leggere in senso antiorario, uno tra i più illustri esponenti dell’arte contemporanea mette in scena nel teatro della sua tela, l’esplosione di un momento. L’inizio della persecuzione. Quel tassello che darà inizio ad una serie di eventi che i protagonisti del suo stesso dipinto, non immaginano nemmeno. Eppure già urlano e si disperano. I volti deformati dalle espressioni di terrificante dolore.
Un’esplosione bianca che devasta e annienta tutti i colori della vita. Tutti i colori dell’umanità.
Un’umanità che, persa nel bel mezzo del genocidio ebraico, si azzera. Quando uomini uccidono altri uomini per un supposto diritto di superiorità, non si può più parlare di umanità. Tutto ciò che ci rendeva umani svanisce. E Chagall rappresenta magistralmente questo annientamento nella sua Crocifissione Bianca.
Una folla infervorata e scura procede decisa innalzando bandiere cremisi. Così Chagall rappresenta i soldati delle pogrom russe, ovvero le persecuzioni staliniane messe in atto contro le minoranze di ebrei russi e che si protrassero dal 1881 al 1921. Uomini che incalzano in tutta la loro arrogante superiorità e diritto ad esercitarla. Mentre tutto intorno a loro scoppia e divampa il terrore, la paura. Come un fuoco.
Come quelle fiamme feroci e distruttrici, unica nota di colorazione calda del dipinto, che si avvolgono alle case, impossessandosi dei muri e delle finestre, di ogni crepa di vissuto umano. Volgendolo alla distruzione.
Ovunque figure straziate dal dolore corrono caoticamente. Chi stringendo a sé quei pochi e ultimi beni che può ancora considerare propri e che sono miracolosamente scampati alla devastazione.
Chi si aggrappa alle Sacre Scritture, paradossalmente il capro espiatorio della propria persecuzione, per proteggerlo dalle fiamme. Per conservare alla memoria e al futuro, al domani che verrà, la testimonianza del proprio passaggio su questa terra. La prova del loro vissuto in un mondo che non ha saputo accogliere, ma che, al contrario, ha strappato le loro anime all’esistenza, brutalmente, crudelmente e disumanamente.
Nel margine inferiore del quadro, una donna, improvvisamente invecchiata dai solchi profondi e sofferenti sul viso, stringe forte al petto un bambino. Lo culla tra le braccia proteggendolo dalle fiamme e dalla devastazione, dalle urla e dai pianti, dalla tristezza e dalla crudeltà. Con gesto del tutto protettivo poggia la propria mano su un lato del viso del piccolo bimbo, forse gli sta coprendo le orecchie affinché non assorba neppure un suono di questo momento di profonda tristezza.
Nulla di questo attimo dovrà rimanere impresso nella memoria visiva e uditiva delle nuove, nuovissime, generazioni. Ma quello che i protagonisti del dipinto di Chagall ancora non sanno, è che non esiste gesto o qualsivoglia tentativo di salvezza, che possa cancellare questo genocidio dalla memoria degli uomini.
Una profonda tristezza avvolge il dipinto di Marc Chagall, un sentimento che lui stesso sembra aver “nascosto” tra le tinture dell’opera. La tristezza che nasce dalla consapevolezza di noi spettatori nel conoscere il destino orribile che attende quei personaggi che all’interno della tela si affannano per scappare al genocidio.
Al centro del quadro, illuminata da una luce, anch’essa bianca ma rivelatoria, spicca la figura del Cristo morto crocifisso. L’artista ci suggerisce, quasi fosse una rivelazione appunto, che a nulla è servito il sacrificio di Cristo per liberare gli uomini dal proprio destino di sofferenza.
Un messaggio amaro e struggente, quello di Chagall. Ma l’unico che possa descrivere la disumanità del genocidio.
Francesca Motta